So che con queste mie parole creerò qualche malumore, ma sento il dovere di esprimermi.
Il tema è quello del Pride, manifestazione diffusa in tutto il mondo libero e tra pochi giorni in debutto ad Aosta.
In campagna elettorale durante l’ultimo incontro tra i candidati al ballottaggio, di fronte a una domanda del giornalista circa la mia disponibilità a sostenere un’iniziativa come questa risposi: se è una proposta concepita e promossa dalle associazioni del territorio, perché no.
Così è stato e noi abbiamo mantenuto la promessa.
Vorrei cercare di capire - ma non ci riesco - perché qualche amico cattolico, per questa ragione, mi nega il saluto o mi concede a malapena un cenno freddo, velato da una punta di risentimento.
Si dirà che una volta tutte queste diverse identità sessuali non esistevano e tutto era più ordinato, sano e controllabile; si temerà che dare risonanza a una ostentazione della propria differente identità produca emulazione e dunque, soprattutto tra gli incerti, possa far pendere l’ago della bilancia verso la diversione invece che la convergenza sullo standard dominante, quello che lascia, i più, tranquilli. E, sotto sotto, si penserà che si tratta di una deriva della dignità personale e dell’intero corpus sociale e dunque si continuerà a pensare che, se non è una malattia, poco ci manca e comunque potrebbe risultare contagiosa.
Ma ci ricordiamo dei nostri nonni e della civiltà che hanno incarnato? Guardate le foto d’antan nei cimiteri dei nostri paesi: i visi gravi, scalpellati come un’antica pietra da marciapiede, induriti dal sole e dalla miseria. Ma quanti sentimenti si permettevano di manifestare e quanti rimanevano soffocati in gola da schiaffi precoci, da ordini impartiti a suon di cinghiate, dalla cruda condizione di sopravvissuti permanenti alle morse del gelo, della fame, delle malattie e dell’isolamento? Quante falsità le persone hanno detto a loro stesse e poi al mondo accettando di restare ingabbiate tutta la vita in un ruolo inadatto, usando frigidi gesti d’amore, privati per una vita intera del fuoco ardente e caloroso della passione? E quante maschere hanno indossato nobiluomini e nobildonne d’ogni rango, prelati e borghesi piccoli, medi e alti coltivando vite multiple protette dai soldi e dalle condotte omertose dei clan?
Umani si diventa, non si è a priori alla nascita solo perché si è ominidi, mammiferi e bipedi, sedicenti dotati di fine intelletto. La storia percorre la lenta strada della consapevolezza di sé e della liberazione di ciò che la mente produce nel suo echeggiare il mondo intorno così come ciascuno di noi cerca di realizzare, faticosamente, lottando contro i muri edificati per proteggersi dalle esistenze ignote e quindi piene d’insidie.
Con umiltà, facendo mio il pensiero di Francesco sul “chi sono io per giudicare?” e dunque invocando in primis per me, una misericordia infinita mi chiedo se non sia un ragionamento cristiano quando riconosco nell’uomo e nella natura innumerevoli modi di amare, forme misteriose di contatto, scambio e crescita reciproca, flussi di energia vitale che fecondano relazioni interpersonali e sociali nelle quali anche il corpo è invogliato ad esprimersi, nella pace che solo i sensi sanno costruire... L’Amore incondizionato, gratuito, trascendente e onnipotente passa per un’apertura generosa verso ciò che è altro da noi e da noi si distingue, ci affascina e intimorisce insieme e svela la nostra fragilità profonda: in ogni piccolo, personale modo di amare c’è la presenza di ciò che da noi sconfina.
Mi chiedo se io rinneghi il Vangelo quando vedo Satana nelle menzogne permanenti, nei tradimenti seriali, nei giudizi sociali che ti obbligano a essere chi non sei: odorano di morte, dissoluzione per soffocamento, sono silenziose espressioni di violenza.
Il Don Bosco della mia giovinezza, quello che più di tutti mi ha insegnato a cercare d’essere un buon cittadino attivo e partecipe e a coltivare un pensiero sociale che affonda le radici nella cristianità ci voleva “felici nel tempo e nell’eternità”: per essere felici bisogna essere liberi di amare e non c’è amore senza rispetto reciproco e senza pienezza, che innesca un irrefrenabile desiderio di gridarlo al mondo in ogni modo possibile, soprattutto quando qualcuno ti ha impedito di farlo fino a oggi.
E questo grido è un inno alla vita, non c’è da averne paura.