Steelosa, PRIS e il generale Haftar: quando il mondo gira al contrario e noi ci sediamo sopra.
Le settimane passano, il caldo sale, le ferie si avvicinano e la politica — o quel che ne resta — si mette il cappello di paglia e finge di essere in servizio. Ma noi, come Sentinelle del Tombino, restiamo con le orecchie a terra e gli occhi puntati sulle cose che contano davvero: tipo una panchina in acciaio a forma di infinito e una missione diplomatica finita a perpendicolo.
A Cogne, proprio in piazza Chanoux, è arrivata Steelosa: non è una supereroina Marvel, ma una panchina. Una panchina vera, fatta di acciaio riciclato, tutta curve e significati infiniti. Un po’ come i comunicati stampa dell’Assessorato alla Cultura: ci si siede sopra, si riflette sulla sostenibilità e poi ci si alza — con la sciatica — sentendosi migliori. Il bello è che questa panchina ha girato l’Italia: Alba, Levanto, Forte dei Marmi, e ora Cogne. E sì, se vi state chiedendo cosa abbia in comune con tutte queste località... la risposta è: niente. Ma vuoi mettere il fascino di un’inaugurazione d’arredo urbano che pare un’installazione artistica di Arte Sella, ma fatta da chi ricicla le scatolette di tonno?
Nel frattempo, ad Aosta, si sperimenta il PRIS. Niente a che fare con androidi ribelli alla Blade Runner: si tratta del Pronto Intervento Sociale, attivo 24 ore su 24 per affrontare situazioni d’emergenza. La vera emergenza? Che ci abbiano messo così tanto ad attivarlo, e che oggi si presenti come se fosse il risultato di una lunga notte di pensieri altruisti, quando in realtà è il minimo sindacale in una società civile. Ma va detto: il comunicato stampa è chiaro, conciso, e pieno di partner istituzionali. Troppi. Quasi sospetto. Quando ci sono così tante firme su un protocollo, spesso significa che nessuno vuole prendersi davvero la responsabilità.
Ma ora parliamo di politica seria. O quasi.
Il Presidente Testolin, nel suo discorso da bilancio, ha detto che “non ci sono sogni mancati”, perché i sogni li stanno realizzando. Oh, beati loro. “Garantire lavoro dignitoso”, “trattenere i giovani”, “attrarre investimenti”... parole bellissime, ma sembravano estratte da un generatore automatico di frasi istituzionali da PowerPoint. La realtà è che se un giovane vuole restare in Valle, dev’essere o eremita o dipendente pubblico. Gli altri li salutiamo da Pont-Saint-Martin mentre partono con la valigia e il curriculum.
Poi c’è Sapinet, che ha parlato di un atto “condiviso, concreto, importante”. Talmente condiviso che fuori dall’aula ne parlavano in tre. Uno era l’usciere. Gli altri due litigavano per la macchinetta del caffè.
Nel frattempo, nel mondo reale, la diplomazia europea è andata a sbattere in Libia: il generale Haftar li ha lasciati lì, come un appuntamento Tinder dove lui non si presenta e tu resti con il vestito buono e la faccia da fesso. Altro che diplomazia. Dalle cronache pare che l’Italia e la Commissione UE siano rimaste spiazzate, e forse — ma solo forse — era il caso di ricordarsi che quando inviti un signore in mimetica con carri armati e pozzi di petrolio, il dress code non è "business casual", ma "geopolitica seria".
Per concludere, da fonte Legambiente, un dato che ci fa riflettere (ma non troppo): 193 reati ambientali in Valle d’Aosta nel 2024. Boom del +164%. Se volevamo primeggiare in qualcosa, eccoci accontentati. Altro che Gressoney green. In compenso zero arresti, che conferma una verità tutta valdostana: la criminalità ambientale, qui, è più impunita del parcheggio in doppia fila durante la Messe.











