Ci sono decisioni che nascono nei palazzi della giustizia europea e che, pur muovendosi su un piano tecnico, finiscono per interrogare in profondità i territori. Le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea sulle concessioni di piccole derivazioni idroelettriche rientrano a pieno titolo in questa categoria.
Un tema tecnico che parla ai territori
Il tema, in apparenza, è circoscritto: stabilire se l’attività di produzione di energia elettrica mediante una piccola derivazione d’acqua possa essere qualificata come “prestazione di servizi” e, di conseguenza, ricadere nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/123/CE, la cosiddetta direttiva Bolkestein, con il suo corollario di obblighi concorrenziali, divieti di rinnovo automatico e procedure comparative.
In realtà, la questione è più ampia e chiama in causa il modo in cui il diritto europeo distingue – o rischia talvolta di non distinguere più – tra mercato, beni comuni e interessi generali.
Piccole derivazioni: bene o servizio?
Nelle sue conclusioni, l’Avvocato generale propone una lettura lineare, ma tutt’altro che banale: la mera produzione di energia elettrica non coincide, di per sé, con l’erogazione di un servizio. L’energia è qualificata come un bene e il fatto che la sua produzione avvenga nel rispetto di vincoli ambientali, tecnici o gestionali non è sufficiente a trasformare automaticamente tale attività in una prestazione di servizi ai sensi del diritto dell’Unione.
È una distinzione che può apparire sottile, ma che ha conseguenze rilevanti. Negli ultimi anni, infatti, si è affermata una tendenza a estendere meccanicamente categorie nate per altri contesti – in particolare quello dei servizi turistico-ricreativi – anche a settori che presentano caratteristiche profondamente diverse. La sentenza Promoimpresa, spesso richiamata come riferimento generale, riguardava concessioni demaniali funzionali alla prestazione diretta di servizi. Qui, invece, siamo di fronte all’utilizzo di una risorsa naturale per la produzione di un bene, con finalità e logiche differenti.
Ciò non significa – ed è bene sottolinearlo – che le Regioni o gli enti pubblici possano muoversi in assenza di regole. La libertà di stabilimento resta un principio cardine dell’ordinamento europeo. Ma la sua applicazione non è automatica: presuppone l’esistenza di un interesse transfrontaliero concreto e richiede una valutazione caso per caso. Ed è proprio in questo spazio che si apre una riflessione più ampia, che va oltre il tecnicismo giuridico.
Energia rinnovabile, tutela dell’ambiente, sicurezza degli approvvigionamenti, stabilità degli investimenti, continuità gestionale: sono interessi che difficilmente possono essere ricondotti a una lettura puramente meccanica delle regole del mercato. Non per negarne il valore, ma per riconoscerne i limiti quando vengono applicate senza un adeguato contesto.
Il ruolo delle Regioni
Per territori come la Valle d’Aosta, dove l’acqua non è soltanto una risorsa economica ma un elemento strutturale del paesaggio, della storia e dell’identità collettiva, questa distinzione assume un significato ancora più delicato. Qui, il tema delle piccole derivazioni non riguarda solo l’efficienza o la concorrenza, ma il modo in cui si governa un bene limitato, intrecciando sviluppo, sostenibilità e responsabilità pubblica.
Forse il messaggio più interessante che emerge dalle conclusioni dell’Avvocato generale non sta tanto nelle risposte, quanto nel richiamo al senso del limite. Il limite del diritto europeo, che non può essere forzato fino ad annullare le differenze sostanziali tra beni e servizi. Ma anche il limite dell’azione pubblica, chiamata a distinguere con attenzione ciò che deve essere messo in concorrenza da ciò che richiede, invece, regole stabili, proporzionate e coerenti con gli interessi generali in gioco.
Non è una difesa aprioristica dello status quo, né una presa di distanza ideologica dal mercato. È piuttosto un invito a non confondere gli strumenti con i fini. A ricordare che il mercato è un mezzo potente, ma non un orizzonte morale solitario.
Perché serve prudenza
La Corte di giustizia si pronuncerà nei prossimi mesi. Fino ad allora, è bene mantenere uno sguardo prudente, evitando sia letture catastrofiste sia entusiasmi prematuri. Questa vicenda, nel frattempo, offre un’occasione preziosa per approfondire il tema, anche sul piano politico e istituzionale.
Perché l’autonomia vera non si esercita opponendosi per principio all’Europa, né accettandone ogni interpretazione senza discuterla. Si esercita sapendo argomentare, distinguere e scegliere. Anche – e forse soprattutto – sulle piccole cose. Come una derivazione d’acqua.













