Questa volta mancano le comparse, ma le battute non mancano
Eh sì, care Betoneghe e Sentinelle del Tombino: stavolta la politica valdostana si prende una pausa. Ma non vi preoccupate: anche in assenza di veri colpi di scena, riescono comunque a farci ridere (o piangere) con eleganza da fiera di paese e ambizione da think tank di fondovalle.
Partiamo forte: la pesca. Non quella dei frutti succosi, ma quella coi calzoni a salopette e gli ami. L’assessore Marco Carrel – noto per il piglio decisionista e l’amore per i comunicati in politichese – ci fa sapere che “anche la Valle d’Aosta ha provveduto a formalizzare la richiesta di valutazione dell’immissione della Trota mediterranea”.
Scusate, che?
Una frase così complicata che manco il pesce la capisce. In pratica, l’assessore vuole ribadire al ministro Pichetto Fratin (sì, esiste davvero) che le trote nostre sono nostrane. Ma non è che basta urlare “sono autoctone!” perché lo siano, serve la prova del DNA, mica la dichiarazione giurata del pescatore di Arvier.
E quindi, mentre il Ministero annaspa tra pareri tecnici e fauna in sciopero, noi scopriamo che l’unica vera specie protetta in Valle d’Aosta è il politico in cerca d’autore.

Ma restiamo tra gli animali, perché è tempo di “Vacche in maschera”. No, non è un nuovo carnevale a Doues, ma la triste sfilata di poveri bovini travestiti da souvenir. Al castello dell’Artisanà, più che pezzate rosse o nere, si vedono mucche truccate come drag queen: ciglia finte, rossetto e il teuteun coperto di gesso da decoratori da presepe.
A quando la vacca con la parrucca?
E nel frattempo, il Libro Genealogico piange. Iscrive solo razze ufficiali – VPR, VPN e CAST – mentre il pubblico si commuove davanti a una mucca fucsia col boa.
E se questa è la promozione delle tradizioni, allora la Battaglia delle Reines la vince Barbie.
Scivoliamo ora verso una pagina che fa tremare le arterie: il sistema pensionistico. Prima del 1945 si risparmiava per la vecchiaia, ora invece – con il sistema a ripartizione – speriamo che i nostri figli non scappino in Svizzera.
La logica è questa: i lavoratori pagano le pensioni dei nonni, sperando un giorno che qualcuno pagherà le loro. Una catena di Sant’Antonio travestita da solidarietà.
Peccato che nascano sempre meno bambini e quelli che ci sono, studiano l’olandese su Duolingo.
Morale? A furia di rimandare la riforma, l’unico futuro pensionistico realistico prevede una sedia al semaforo con la paletta da parcheggiatore e un bicchiere di carta per le offerte libere.
Passiamo a un tema serio che affrontiamo con la solennità che merita: le chiamate moleste.
No, non è il corteggiamento ossessivo della consigliera di opposizione verso il collega presidente. Parliamo dei call center, quei crocevia infernali dove anime perdute ci chiamano per venderci energia verde, abbonamenti a riviste ormai fallite e corsi per diventare influencer con 60 follower.
E anche se siamo iscritti al Registro delle Opposizioni, le telefonate continuano, come una pioggia di locuste vocali.
La proposta? Basta farci dire “sì” prima di romperci le scatole. Funziona in Germania, Francia, Olanda.
Qui da noi no.
Qui vince sempre chi ha il numero, non chi ha dato il consenso. Però attenzione: se firmate la petizione per lo “stop al telestalking”, rischiate che vi chiamino per chiedervi… se l’avete firmata davvero.
E infine, eccolo: il Piano di sviluppo industriale. Dieci punti. Dieci. Manco fossero i comandamenti.
Si va dalla valorizzazione della filiera del legno (che qui si traduce con “più tavole al bar”) alla siderurgia (che in Valle significa: “dove c’era l’acciaieria, ora c’è il silenzio”).
C’è l’idea di un ITS per la manutenzione degli impianti sciistici (finalmente qualcuno che sa mettere le mani su un gatto delle nevi senza googlare “vite sinistrorsa”) e anche l’obiettivo di creare una task force pubblico-privata. Il nome è epico, ma non lasciatevi ingannare: sarà probabilmente una chat WhatsApp dove qualcuno scrive “ci vediamo lunedì?” e nessuno risponde per tre settimane.
Insomma, anche se la politica questa settimana latita un po’, il teatrino non chiude.
Le quinte scricchiolano, i costumi sono sempre più grotteschi, e le luci della ribalta sono alimentate a trote, mucche in mascara e proposte che sembrano uscite da un laboratorio creativo gestito da un gruppo di ex funzionari INPS sotto mentite spoglie.
Ci risentiamo presto, sempre dal confine sottile tra verità e parodia.











