“Oggi siamo chiamati a riconoscere dignità e prospettiva a un’Italia spesso dimenticata, eppure essenziale.”
Così ha esordito Franco Manes, deputato valdostano delle Minoranze linguistiche, nella dichiarazione di voto favorevole al DDL Montagna. Ma le sue parole sono andate ben oltre la prassi parlamentare: sono diventate un atto politico, un grido autonomista, un richiamo a Roma a cambiare passo.
La montagna, per Manes, non è un’eredità da conservare, ma una scommessa sul futuro. “Non sono il residuo di un tempo passato: sono, invece, un laboratorio per il futuro”, ha detto, ribaltando la retorica nostalgica che spesso accompagna i discorsi sui territori alpini e appenninici. Un'affermazione che trova eco in chi, da anni, denuncia l’abbandono istituzionale dei territori montani, spesso ridotti a scenografie da cartolina o a riserve turistiche.
“Le zone montane non sono la periferia dell’Italia, ma ne sono l’ossatura portante.”
Un’affermazione chiara, potente, che ha il sapore della rivendicazione politica. La montagna come asse, non come margine. La montagna come diritto, non come concessione.
Manes ha anche denunciato l’inadeguatezza delle logiche legislative calate dall’alto:
“A livello centrale si immagina che debba essere governata da modelli e logiche tipicamente urbane, con norme che non tengono conto dell’acclività, della geomorfologia…”
Un'accusa netta: il centralismo normativo ignora la realtà materiale e umana della montagna, fatta di distanze vere e di equilibri fragili.
Ma il cuore del discorso è tutto in una parola: visione.
“Non possiamo più permetterci politiche frammentarie o interventi emergenziali. Occorre offrire una visione. Occorre dare stabilità.”
Ed è proprio questa “visione” che – per Manes – il DDL Montagna inizia finalmente a tracciare. Non un testo perfetto, ma un passo nella giusta direzione.
Tra i punti qualificanti della legge, il deputato valdostano ha ricordato:
la garanzia dei servizi pubblici essenziali,
agevolazioni fiscali per imprese e giovani,
misure per le scuole di montagna,
e soprattutto, il riconoscimento del principio di auto-responsabilità per chi fruisce dei sentieri.
Un risultato “epocale” secondo Manes, atteso da anni da Comuni, consorzi e proprietari privati.
“È una scelta di giustizia, che restituisce la dovuta serenità alle genti di montagna”, ha affermato.
Dietro queste parole c’è una cultura profonda della montagna. Una cultura che rifiuta la logica della “museificazione”, dell’assistenzialismo, della marginalizzazione. Una cultura che rivendica autonomia, presidio, protagonismo.
“Le montagne non sono una realtà statica da tenere separata dalle comunità che le abitano.”
Una frase che vale da sola un manifesto politico. E che, per chi come Manes proviene da un sistema autonomo come quello valdostano, non può che assumere un significato ancora più forte.
Non manca però un avvertimento:
“Perché questa legge possa effettivamente funzionare, bisogna che la classificazione dei Comuni montani sia aderente alla reale conformazione del Paese e che siano garantite risorse concrete.”
La montagna, insomma, non ha bisogno di buone intenzioni, ma di mezzi, strumenti, fondi. E su questo – promette Manes – le minoranze linguistiche vigileranno.
In chiusura, un ringraziamento al ministro Calderoli, definito attento e presente, e alla relatrice Cattoi. Ma il vero merito – tra le righe – è delle comunità alpine che, come in Valle d’Aosta, continuano a lottare ogni giorno per restare vive.
Con un’identità, con un’autonomia, con un futuro.
"Les Alpes ne sont pas un décor: elles sont notre maison, notre devoir, notre avenir."











