Pare proprio che il problema rifiuti ad Aosta sia diventato una sceneggiata. Siamo passati dal vecchio detto “chi meno consuma, meno paga” – frase presa in prestito, molto arditamente, dai nostri governanti – al motto “paga di meno chi produce meno rifiuti”, con cui si sentivano un po' come dei novelli Don Chisciotte, pronti a dimostrare, carta alla mano, che i buoni sarebbero stati premiati.
Ma lasciando perdere un po’ di sana ironia, la prima cosa che mi viene in mente è: come mai la nostra classe politica dimostra, sempre più spesso, un’incapacità a governare? In molti casi regna un’improvvisazione fatta di promesse, poi puntualmente rimangiate.
Premetto che sono perfettamente consapevole che il problema dei rifiuti non sia di poco conto. E che, sicuramente, non esiste nelle nostre città una cultura paragonabile a quella giapponese. Chi ha avuto occasione di viaggiare si sarà accorto subito di come molte nostre grandi città – capitale compresa – siano invase da immondizia e sporcizia. All’estero, invece, città come Berna, Zurigo, Madrid, ma soprattutto le metropoli giapponesi come Tokyo e Osaka, appaiono prive di ogni traccia di rifiuto.
A Tokyo, ad esempio, non si trovano nemmeno i cestini per strada. Eppure tutto è pulito. Questo perché lì il concetto di pulizia è profondamente radicato, e il sistema di raccolta e riciclaggio è uno dei più avanzati al mondo.
Recentemente, il governo giapponese sta attuando una politica di riciclaggio “alla fonte”: ovvero, creare condizioni per cui gli imballaggi siano già al 100% riciclabili, riducendo al minimo l’utilizzo di materiali dannosi e sostituendoli con alternative biocompatibili e in molti casi idrosolubili, come prodotti derivati dal bambù o dalla canapa.
Ovvio che per fare questo serve una politica attenta e lungimirante. Anche se, solo nominare l’ambiente o il Green Deal, fa saltare i nervi a qualcuno. Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che vivere in una città pulita, in un pianeta sano, dovrebbe essere la cosa più normale di questo mondo. E invece siamo disposti ad accettare acque e cibo inquinati da pesticidi.
Ma tornando ai rifiuti di casa nostra, mi viene spontanea una domanda: che fine ha fatto la tanto sbandierata “Carta dei Servizi”? Ve la ricordate?
La Carta dei Servizi per la gestione dei rifiuti urbani è un documento che individua principi, regole e standard qualitativi dei servizi, al fine di tutelare le esigenze dei cittadini-utenti nel rispetto di efficacia, efficienza ed economicità.
Ora, che un servizio debba essere efficace nessuno lo mette in dubbio. A tutti, credo, piace qualcosa fatta bene, funzionale, efficiente. Però ci sono aspetti anacronistici: si parla ad esempio di metratura come se la superficie di un’abitazione fosse di per sé indice della produzione di immondizia. Un’assurdità. È difficile pensare che la polvere sui pavimenti possa diventare un problema così grosso. Immaginare poi che due persone in 100 metri quadrati producano più rifiuti di chi vive in 50 metri, mi sembra ridicolo.
Poi c’è la questione della tecnologia: app, trasponder, registrazioni digitali… Per alcune persone, specie anziane, è davvero complicato. Più che gestire rifiuti, sembra si debbano maneggiare scorie radioattive di una centrale nucleare.
Ma torniamo al punto che credo interessi di più: l’economicità.
Il concetto di economicità, come dice la parola stessa, prevede che un cittadino paghi una quota equa per un servizio. Ora, se affidiamo un servizio a una società privata che, giustamente, ha come obiettivo il profitto, viene meno l’idea di “servizio al cittadino”. Un servizio come la raccolta rifiuti dovrebbe essere no profit, quindi dovrebbe costare molto meno rispetto a quanto si paga oggi, appaltandolo a una ditta privata.
Cosa voglio dire?
Che l’amministrazione pubblica, ormai, mostra la sua incapacità organizzativa in sempre più settori: dalla sanità pubblica a quella privata, dai trasporti ai servizi scolastici. Non ultimo, anche un bene pubblico essenziale come l’acqua verrà gestito da una società che avrà dirigenti, presidenti e impiegati… Ma che, per gli interventi manuali sul territorio, appalterà i lavori. E magari a vincere l’appalto sarà una ditta di chissà dove – com’è già successo con la gestione del verde pubblico, affidata a una società romana con cui oggi il Comune è persino in causa.
Una cosa è certa: aumenterà il costo del servizio, e non avremo nemmeno lavoratori del posto. Abbiamo tolto manodopera a una miriade di piccoli Comuni che ormai non hanno più cantonieri, idraulici, addetti vari per interventi sul territorio. E questo alimenta lo spopolamento dei piccoli comuni.
Mi domando: è davvero così impossibile, in certi settori della vita pubblica, assumere dipendenti?
Lavoratori che, stipendiati dai cittadini, lavorino per la collettività, senza dover arricchire aziende che lucrano su questi servizi? Aziende che, troppo spesso, offrono contratti di lavoro indecenti, ai limiti dello sfruttamento?
Forse è davvero arrivato il momento di rivedere il concetto di bene comune e di servizio pubblico.