Avete mai giocato al “gioco delle sedie”? Certamente si, non c’è stato banchetto o festicciola giovanile in cui prima o poi non sia stata proposta la corsa al “seggio” del vincitore. Le regole sono semplici: ci sono i giocatori e ci sono la sedie, una in meno rispetto ai primi; parte la musica e si corre o si balla, poi la musica si ferma e a quel punto tutti devono essere veloci a sedersi; ovviamente una persona rimane in piedi e viene scartata, si toglie una sedia e la musica riparte; tutto continua fino a che uno solo giocatore avrà la “sua” sedia e quindi la vittoria.
Ma dai, non lo conoscete? Eppure si gioca anche da noi. Facciamo un esempio. Mettiamo, che so, trentacinque partecipanti. Cominciate a capire, vero? Parte la musica che non è necessariamente da ballo, anzi nel mio esempio si tratta di una litania di strofe stantie, di ritornelli roboanti ma inattendibili, di motivetti accattivanti ma illusori. Ogni tanto la musica si interrompe, di solito bruscamente, ed ecco che parte la corsa ad accaparrarsi la poltrona libera più vicina al podio, con sgomitate e sgambetti ben poco sportivi o giocosi.
Lo so, non vi ho fato ridere. Difficile trovare un valdostano che trovi ancora divertente questo gioco. Da qualunque parte lo si osservi la percezione che ne abbiamo è che “è solo una questione di poltrone”. Non ci piacciono più né la musica né i concorrenti, ma non possiamo far altro che stare ad osservare questa festicciola privata a cui siamo invitati solo per fare da tappezzeria, impotenti e preoccupati.
Forse per farci sentire ospiti graditi, consci della scarsa empatia che ormai suscitano, ecco che i trentacinque di tanto in tanto cercano di coinvolgerci in teatrini tragicomici, comunque sempre più patetici. So di essere irriverente, ma il gioco della sedia me lo hanno fatto tornare alla mente proprio loro, nell’assemblea del 4 ottobre, quella che avrebbe dovuto sfociare nel ribaltone del contro ribaltino (o viceversa, chi ne capisce più?). Come schegge impazzite, non c’era nessuno che stesse al suo posto: assessori che sedevano tra i consiglieri, consiglieri che sedevano in toilette (per loro stessa ammissione), poltrone vuote, via vai continuo dietro gli oratori e nei corridoi. Mi hanno fatto notare, ed è stato uno spasso ricostruire la cosa con le immagini della seduta, un consigliere che ha cambiato postazione un numero indefinito di volte: indeciso sulla sua posizione politica o in cerca di visibilità a tutti i costi?
Un caos emblematico, almeno agli occhi dei più, dello sbando e della confusione della nostra politica, incapace ormai di darsi un tono consono al suo ruolo. E noi che siamo sempre più stanchi, se questo è solo un gioco di poltrone, non vogliamo più giocare.
Abbiamo un inno che dice “Ô montagnards, chantez en chœur de mon pays la paix et le bonheur”.
L’unica musica che dovrebbe spronare i trentacinque, senza sedie di mezzo.