Nella notte tra il 21 e il 22 maggio Aosta è stata teatro di un episodio che segna un punto di svolta inquietante: una rapina violenta, all’interno di un’abitazione privata, con modalità che richiamano scenari da criminalità organizzata metropolitana. Tre giovani, armati di un coccio di bottiglia, un taglierino e un cacciavite, hanno immobilizzato due coetanei nella loro casa, minacciandoli di morte e portando via circa 300 euro. Una delle vittime ha riportato lesioni.
La Polizia di Stato, grazie al tempestivo intervento della Squadra Mobile, è riuscita in poche ore a individuare e assicurare alla giustizia i presunti responsabili, per i quali sono scattate le misure cautelari in carcere. Ma il dato resta: nella piccola e finora tranquilla Aosta, si consuma una rapina in stile “crimine urbano”. Un’escalation che deve far riflettere.
Che si tratti di bande locali, gruppi importati o semplici “cani sciolti” emuli di modelli devianti, poco importa. È la brutalità del gesto, la premeditazione, l’uso di strumenti da offesa, la violenza psicologica e fisica esercitata all’interno di un’abitazione privata — luogo per eccellenza della sicurezza — a rappresentare un salto di livello che va denunciato con forza.
L’episodio è il termometro di un disagio che serpeggia tra marginalità, disagio giovanile, consumo di sostanze e microcriminalità che si salda con l’arroganza del delinquente che non teme conseguenze. Serve una risposta forte, non solo sul piano repressivo, ma anche sul piano politico e sociale.
Perché ogni rapina è un vulnus alla convivenza civile, ma quando avviene di notte, in casa, con vittime indifese e carnefici giovani e spietati, è il tessuto sociale a essere lacerato. L’arresto dei tre — su cui naturalmente vale la presunzione d’innocenza fino a condanna definitiva — è un successo investigativo importante. Ma è anche un grido d’allarme che le istituzioni, tutte, devono raccogliere.
Chi delinque non può sentirsi impunito. Chi vive ad Aosta deve potersi sentire sicuro. È questo il patto sociale da ricostruire, prima che il crimine, anche piccolo ma violento, diventi parte della normalità. Non possiamo permetterlo.