Non erano ancora suonate le campane del vespro politico, che una nuova frattura si è aperta nel già complicato mosaico istituzionale valdostano. Venerdì 30 maggio 2025, sette consiglieri regionali – Luca Distort, Raffaella Foudraz, Erik Lavy, Andrea Manfrin, Simone Perron, Paolo Sammaritani e Diego Lucianaz – hanno depositato alla Presidenza del Consiglio Valle la richiesta di sottoporre a referendum confermativo la legge regionale che reintroduce le tre preferenze con rappresentanza di genere per l’elezione del Consiglio regionale.
Una legge, ricordiamolo, approvata il 27 febbraio a maggioranza assoluta, che intendeva segnare una svolta nel nome della partecipazione e dell’equità: tre preferenze per favorire un voto più libero, meno soggetto a personalismi, e la garanzia di una rappresentanza di genere, per sanare una storica asimmetria in un Consiglio a prevalenza maschile.
E invece no: il nuovo tentativo di portare la Valle verso un sistema elettorale più moderno viene rimesso in discussione. Siamo punto e a capo.
“C’era una volta la stabilità…”
Nel silenzio assordante di chi avrebbe potuto esprimersi ma ha preferito tacere, i sette promotori hanno scelto la via del conflitto. Nulla di illegittimo, anzi: la legge statutaria prevede questa possibilità. Ma il punto non è giuridico, è politico. Ed è lì che si consuma il vero strappo.
«Quando si teme la trasparenza del voto, è perché si teme il giudizio dei cittadini. E allora si cerca di ostacolarlo» – è la riflessione amara di un ex consigliere regionale che ha seguito da vicino l’iter della legge.
La richiesta referendaria arriva sull’onda lunga delle diffidenze ideologiche, di un certo conservatorismo che non digerisce l’idea che le donne possano ottenere una corsia preferenziale per entrare in Consiglio, e che considera le tre preferenze una “complicazione inutile”, se non addirittura un rischio per l’ordine precostituito.
Le regole del gioco cambiano solo se conviene
Non è solo questione di genere o di preferenze. È una battaglia di visione: da una parte chi crede in un’Autonomia che si rinnova anche nei meccanismi democratici; dall’altra, chi difende lo status quo, spesso dietro un’apparente neutralità tecnica.
«Questa iniziativa non guarda al bene collettivo, ma al tornaconto politico di pochi. Si ha paura di perdere il controllo del consenso» – commenta, senza peli sulla lingua, un consigliere di maggioranza.
A pochi mesi dalle elezioni regionali di settembre, l’aria si fa pesante: la mossa referendaria ha il sapore di un tentativo di delegittimazione preventiva, di un sabotaggio camuffato da democrazia diretta.
Come funziona il referendum
Tecnicamente, tutto regolare. La legge statutaria consente il referendum confermativo entro tre mesi dalla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale (avvenuta il 4 marzo). Bastano 2.117 firme di cittadini o sette consiglieri regionali. È quest’ultima la via scelta dai promotori.
Ora la palla passa al Presidente della Regione, che dovrà indire il referendum tra il 2 giugno e il 1° luglio. La consultazione si svolgerà in una domenica tra i 60 e i 90 giorni successivi alla pubblicazione del decreto. E basterà un semplice NO a maggioranza per mandare in fumo la legge, senza nemmeno il bisogno di un quorum minimo.
La democrazia valdostana si conferma fragile, più attenta alle schermaglie di palazzo che alla sostanza della rappresentanza. In una fase storica dove la partecipazione va stimolata, non frenata, la scelta di ricorrere al referendum appare anacronistica e difensiva, più una strategia per perdere tempo che per costruire futuro.
E intanto i problemi veri – sanità, lavoro, ambiente, giovani – restano fuori dal campo. Il Consiglio Valle discute delle regole del gioco mentre la gente è sugli spalti, stanca di guardare partite truccate.
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C’è qualcosa di profondamente scoraggiante in questa continua guerra di trincea sulle regole del gioco. Mentre si prova faticosamente a modernizzare il sistema elettorale valdostano, puntando su partecipazione e parità di genere, ecco che parte del Consiglio si muove per disfare ciò che l’Aula ha appena fatto. Un referendum confermativo è legittimo, certo, ma politicamente suona come un siluro. Un altro segnale che la Valle d’Aosta fa fatica a trovare un punto di equilibrio tra progresso e conservazione, tra apertura e paura del nuovo. Tutto è sempre rimesso in discussione, anche l’evidenza. Ma la democrazia, se la si usa solo come strumento tattico, finisce per perdere il suo valore più profondo: costruire insieme un futuro. Non rallentarlo. (Jean-Paul Savourel)