Non è una slavina, ma poco ci manca. I 200 milioni di euro appena ufficializzati per la nuova funivia Cervinia–Plan Maison–Plateau Rosà non solo segnano un punto di svolta per l’impiantistica turistica valdostana, ma lanciano anche un messaggio inquietante a chi ancora crede che basti impacchettare le montagne per rilanciare un’intera economia regionale. Altro che 120 milioni: l’aumento del 70% rispetto alla stima iniziale fa tremare i polsi, le giunte e, soprattutto, i conti pubblici.
«Un segnale chiaro: i costi reali dei grandi impianti sono fuori controllo. Come possiamo ancora credere che la funivia nel Vallone delle Cime Bianche costerà meno di 200 milioni?» si legge in una nota pungente del Comitato “Ripartire dalle Cime Bianche”, che da anni si batte per evitare l’ennesima ferita permanente nel cuore dell’ecosistema valdostano.
L’aggiudicazione, pubblicata nero su bianco sul sito della Cervino SpA, è la prova del nove. Una sola offerta, un solo vincitore, un solo esito: tutto è andato come doveva, ma al doppio del prezzo inizialmente stimato. E allora: chi controlla? Chi valuta l’impatto reale di questi investimenti su una Regione dove le risorse sono sempre più scarse, e i bisogni reali — dalla sanità alla scuola, dalla manutenzione delle strade al rinnovo degli impianti esistenti — sono sotto gli occhi di tutti?
Il Comitato affonda il colpo: «È una corsa all’oro senza bussola. Si parla di “rilancio” come se bastasse una cabinovia per salvare il turismo, ma il turismo vero, oggi, è sostenibile, lento, distribuito. Non è fatto di specchi per le allodole ma di cura del territorio e delle sue comunità».
E hanno ragione. Perché mentre si sbandiera il “modello Zermatt”, ci si dimentica che la Svizzera ha costruito una strategia integrata, dove il paesaggio è sacro e ogni investimento viene ponderato con rigore. Qui da noi, invece, rischiamo di spendere centinaia di milioni per un’infrastruttura che sarà attiva solo in inverno, solo se ci sarà neve, solo se ci sarà domanda. E intanto, gli impianti più datati — come quelli di Champoluc, Gressoney, Brusson — cadono a pezzi.
«Non siamo contro il turismo – precisano dal Comitato – ma vogliamo un’altra visione. Non una linea funiviaria ogni 30 chilometri, ma una strategia che valorizzi la montagna vissuta, abitata, rispettata. Le Cime Bianche non sono un vuoto da riempire, sono un pieno da preservare.»
Le parole non bastano più. Serve una politica che abbia il coraggio di dire no alle illusioni costose e sì alle soluzioni sostenibili. Che abbia il coraggio di guardare in faccia le tre grandi domande che proprio il Comitato rilancia con forza:
Quale patrimonio naturale intendiamo lasciare ai nostri figli?
Quale modello turistico vogliamo perseguire in un mondo segnato da crisi climatica e cambiamento culturale?
Quale giustizia territoriale vogliamo garantire nella distribuzione dei soldi pubblici?
Sono domande scomode, lo so. Ma anche le domande scomode, a volte, sono l’unica salvezza possibile.
Piero, te lo dico chiaro: non si tratta solo di una funivia. Si tratta di scegliere se vogliamo restare padroni di casa o diventare affittuari del nostro futuro.