È stato approvato oggi il bilancio d’esercizio 2024 della Casino de la Vallée S.p.A., società partecipata dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta, con un utile netto dichiarato di 16.410.490 euro, in crescita rispetto al 2023, quando si erano registrati 15.219.127 euro di profitto. “Il risultato positivo dell’esercizio 2024 ha espresso la capacità dell’impresa di dare continuità alle proprie attività in linea con l’andamento dei mercati di riferimento”, si legge nel comunicato ufficiale.
La società conferma un EBITDA di circa 20,1 milioni e disponibilità liquide per 17,4 milioni, proseguendo nei pagamenti anticipati dei debiti previsti dal concordato in continuità, una formula che ha permesso alla Casa da Gioco di rimanere attiva pur sotto vigilanza speciale. “Il pagamento della quarta rata ai creditori chirografari, pari a circa 4,4 milioni di euro, è stato effettuato in ottobre”, sottolinea ancora la nota.
Fin qui, una gestione apparentemente virtuosa. Tuttavia, i numeri, da soli, non bastano a fugare i dubbi di fondo che accompagnano da anni la discussione attorno alla natura pubblica della proprietà. È lecito chiedersi: è compito di un ente pubblico, come la Regione, mantenere una partecipazione totalitaria in una società che esercita attività di gioco d’azzardo, per quanto redditizia?
Certo, l’azienda “ha predisposto nei primi mesi del 2025 il pagamento di un ulteriore 20% dei crediti chirografari”, e questo viene definito “un notevole risultato che rafforza la credibilità della società e ne certifica la sua solidità finanziaria”. Ma la solidità è un concetto che, in un’economia pubblica, va pesato anche sulla base dell’impatto sociale, culturale e strategico.
Oltre i numeri, le scelte politiche
Il valore della produzione nel 2024 è salito a 81,8 milioni di euro contro i 73,1 dell’anno precedente, con ricavi da gioco in crescita del 5,57% e da prestazioni alberghiere del 16,83%. Numeri che fanno sorridere, soprattutto in un contesto post-pandemico. Ma è proprio qui che emerge la necessità di una riflessione politica vera e profonda: i dividendi pubblici sono un valore, ma a quale prezzo?
In particolare, nel comunicato si precisa che “la piena esecuzione del Concordato restituisce la società alle sue aspettative di mantenimento del valore, ma anche di crescita”. Tuttavia, si ammette che “l’impossibilità di operare pienamente sul piano della spesa nel periodo 2021-2024 lascia ancora aperto il tema del consolidamento e dello sviluppo nel tempo degli asset aziendali”. Insomma, la casa è risanata, ma il cantiere è ancora aperto.
Nel frattempo, il personale è stabile a 459 unità e prosegue il rinnovo dell’infrastruttura informatica con investimenti superiori ai 4 milioni di euro. “Si tratta – sia detto ancora una volta – di valorizzare un complesso aziendale, le cui unità produttive sono strettamente collegate e coordinate in un business integrato”. Formula impeccabile, ma anche molto tecnica. In sostanza: si investe per restare competitivi, ma sempre sotto lo scudo pubblico.
Eppure, manca nel comunicato anche solo un accenno al ruolo dell’azionista unico: la Regione. Un'assenza che pesa. Perché in una società privata si può parlare solo di bilanci; in una società pubblica, invece, è doveroso parlare anche di indirizzo politico, trasparenza, coerenza con i principi dell’autonomia e della sostenibilità sociale.
Il Casinò di Saint-Vincent continua a essere un caso di scuola: una società che, dopo essere stata vicina al tracollo, si è rialzata grazie al concordato e alla pazienza dei creditori. Ma ora che le cifre tornano, sarebbe il momento giusto per rilanciare una discussione trasparente sul futuro assetto societario. È sostenibile nel lungo periodo mantenere una struttura pubblica nel settore del gioco, che resta comunque controverso e a rischio etico? O non sarebbe forse il caso di pensare a un modello misto, con maggiore coinvolgimento privato e controllo pubblico sui principi e sulle finalità?
A distanza di anni dal salvataggio pubblico, resta il sospetto che l’efficienza finanziaria sia usata come scudo per evitare un confronto più politico che contabile. Eppure, in democrazia, è anche questo il compito della politica: non solo approvare i conti, ma chiedersi dove stanno portando.