Un sacchetto, un codice, un bidone intelligente. E la sensazione di essere trattati da stupidi.
Per molti aostani, la TARIP non è una sigla. È una seccatura. È il rumore delle nuove pattumiere che non si aprono. È il timore di sbagliare a differenziare e ritrovarsi una multa. È l’ennesimo “cambiamento” calato dall’alto senza spiegazioni.
È sfiducia. È rabbia. È frustrazione.
La Giunta ha difeso il nuovo sistema dicendo che è più equo, che chi inquina paga, che la tecnologia aiuterà a razionalizzare i costi. Tutto giusto, in teoria. Ma la gente si è sentita presa in contropiede, non coinvolta, lasciata sola.
Per mesi, i cittadini hanno avuto a che fare con bidoni nuovi e risposte vecchie. Call center intasati, sportelli informativi insufficienti, volantini poco chiari. E poi l'incertezza: “Ma quanto pagherò in più?”, “Ma se sbaglio sacco mi sanzionano?”, “E se il bidone non si apre?”
Domande semplici. Risposte tardive.
E quando il cittadino non capisce, si innervosisce. Quando si sente preso in giro, si incattivisce. E il rischio è che si disaffezioni non solo al servizio rifiuti, ma a tutto il sistema. Perché la TARIP è diventata il simbolo di una politica che decide senza spiegare.
Mentre in Consiglio si polemizza, fuori si brontola. Nei bar, nelle scale dei condomìni, nei gruppi WhatsApp, la gente dice le stesse cose:
– “Io non ho capito come funziona.”
– “Pagherò più di prima, sicuro.”
– “Ma almeno potevano farci un’assemblea.”
– “Poi si lamentano se la gente vota per protesta.”
Il rischio è chiaro: perdere il contatto con la realtà.
La TARIP, così com’è stata introdotta, non è solo una riforma tecnica, ma una bomba sociale. Perché tocca le abitudini quotidiane della gente, tocca il portafogli, tocca il senso di giustizia. E se chi governa non lo capisce, rischia grosso.
Il popolo del sacco è stanco. E quando il popolo si stanca, non perdona.