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Piemonte NordOvest | 20 maggio 2025, 16:59

Fughe dal chiostro; Anna Valdina ed Enrichetta Caracciolo che scelsero la libertà

Tra Seicento e Ottocento, decine di giovani donne furono costrette a prendere i voti contro la propria volontà, vittime di una società patriarcale e della legge del maggiorasco. Le storie di Marianna De Leyva, Enrichetta Caracciolo e Anna Valdina raccontano ribellioni silenziose e coraggiose, tra clausura, fughe, suppliche al Papa e battaglie per la libertà. Un viaggio nella memoria di chi ha lottato per scegliere il proprio destino

Fughe dal chiostro;  Anna Valdina ed Enrichetta Caracciolo che scelsero la libertà

Per secoli la legge del maggiorasco ha seminato infelicità. Un insieme di norme prevedeva che al primo figlio maschio andasse l'eredità di famiglia.
Agli altri discendenti, maschi e femmine, era riservata una sorte incerta. In molti casi li attendeva una monacazione forzata: relegare un figlio o una figlia in convento costava assai meno che programmarne il matrimonio.
Conosciamo la dolorosa vicenda di Marianna De Leyva, nota come la monaca di Monza.
Marianna, diventata suor Maria Virginia, tentò invano di farsi sciogliere dai voti perenni.

Altre religiose riuscirono nell’intento in epoche meno oscure.

Nata a Napoli il 17 febbraio 1821, Enrichetta Caracciolo è la quinta delle sette figlie di Fabio, principe di Larino, e di Teresa Cutelli.
Rimane troppo presto orfana di padre.

Teresa desidera risposarsi e non può garantire una dote adeguata alle sue creature.
Così Enrichetta, giovanissima, innamorata e corrisposta da Domenico, si ritrova riluttante chiusa in monastero, senza alcuna vocazione, come tantissime coetanee.

Entra nel convento napoletano di San Gregorio Armeno. Un passo annunciato al bel mondo partenopeo con un comunicato ipocrita in cui, nel 1841, la famiglia sottolinea “la ferma determinazione di ripudiare le vanità mondane” da parte di quella “giovine di rara pietà”.

Enrichetta è certamente intelligente, generosa e sensibile, ma non intende assolutamente restare tra quelle mura.

Quando il tetro portone si chiude pesante alle sue spalle, è l’inizio di un incubo destinato a durare dieci anni, affrontati con grande coraggio, in attesa della liberazione.

Enrichetta non si arrende: inizia a inviare suppliche scritte a chiunque possa aiutarla, arrivando persino a Papa Pio IX. Ma cozza regolarmente contro l’ostilità dell’arcivescovo di Napoli, Riario Sforza, che solo nel 1849 le concede il permesso d’interrompere brevemente la clausura per sottoporsi a cure mediche.

Fuggita e resasi irreperibile, per ricomparire in pubblico Enrichetta aspetta il crollo del regime borbonico e l’ingresso solenne di Garibaldi a Napoli. Accoglie l’Eroe dei Due Mondi con entusiasmo, in mezzo a una folla commossa.

Sciolta dai voti, sposa subito un patriota, Giovanni Greuther. Con rito protestante.
Diventa famosa nel 1864 pubblicando un libro autobiografico di forte impatto: Misteri del chiostro napoletano, che ottiene notevole successo e viene tradotto in una decina di lingue.

La meritata notorietà le garantisce una discreta tranquillità economica che la incoraggia, nel 1866, a pubblicare il romanzo Un delitto impunito, basato su un fatto di sangue realmente accaduto.
È una femminista convinta.

La successiva pubblicazione di altre opere, fra cui una raccolta di poesie, e l’attività di corrispondente per prestigiose riviste le assicurano attestati di stima da parte di imprenditori, filantropi e politici. Ma si tratta, nella maggior parte dei casi, di tante belle promesse mai mantenute, come troppo spesso accade. Non viene retribuita come merita.

Rimasta vedova e sola, Enrichetta muore nella sua splendida Napoli il 17 marzo 1901, purtroppo dimenticata.

Anche Anna Valdina, principessa di Palermo, si ribellò a una vocazione imposta.
Il padre aveva destinato una sola figlia al matrimonio, isolando in convento tutte le altre, ancora bambine, nel 1642.
Anna interpella con insistenza chiunque possa salvarla dalla segregazione.
Rifiuta il titolo di badessa. Il suo cammino si incrocia con quello dell’unica donna siciliana nominata viceré: Eleonora de Moura.

Eleonora regna soltanto ventisette giorni, ma fa abbassare il prezzo del pane; assegna una dote alle ragazze disagiate; promuove l’istruzione; abbassa le tasse e attua, rapidissimamente, una serie di riforme progressiste, opponendosi alla corruzione.
Non fa in tempo, tuttavia, a sciogliere i voti perpetui di Anna, che otterrà la libertà solo alle soglie della sessantina, riuscendo ad assaporarla per soli tre anni.

ed.mo.

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