Franca era bella, studiosa, franca nel carattere e profondamente allergica a ogni forma di ingiustizia. Apparteneva alla generazione dei desaparecidos argentini.
Sua madre, Vera, giornalista ebrea di origini italiane, è stata tra le fondatrici del movimento delle Madri di Plaza de Mayo, oggi note in tutto il mondo come Abuelas (nonne), perché molte delle loro figlie – incarcerate, stuprate e costrette a partorire in condizioni disumane – sono state poi brutalmente uccise dalla dittatura militare.
La storia di Vera è attraversata da due tragedie, figlie dell’intolleranza. Suo nonno materno, Ettore Camerino, fu deportato e morì ad Auschwitz. Sua figlia Franca venne invece sequestrata e fatta sparire nel 1976, all’inizio della dittatura argentina.
«Mia madre – racconta Vera – aveva intuito le conseguenze delle leggi razziali e riuscì a convincere il mio riluttante papà a emigrare a Buenos Aires. Mio nonno, invece, non volle saperne. Il suo nome è inciso, tra tanti altri, al binario 21 della Stazione Centrale di Milano».
Dopo la guerra, nessuno della famiglia – a eccezione del padre, che si arrese alla maggioranza – volle tornare in Italia. Vera e la sorella rimasero in America Latina: una sposata, l’altra, lei, fidanzata. Diventò giornalista, si unì in matrimonio con Giorgio, ingegnere ebreo non praticante come il resto della famiglia. Una coppia felice, allietata dalla nascita di Franca, il 19 dicembre 1957. Anni sereni, pieni di soddisfazioni professionali e personali, vissuti in una Buenos Aires cosmopolita e promettente.
Franca è sempre stata una figlia meravigliosa. Affettuosa, curiosa, generosa. Amava tutto ciò che era giusto e bello: lo studio, la musica, la montagna. Suonava il flauto, sciava, dipingeva, recitava, camminava tra i boschi. A casa, i suoi amici erano di casa: condivano le nostre giornate con arrampicate, regate, campeggi e sogni. Era amata, ricambiava con entusiasmo. Era felice, con il suo Enrique.
«Mi piace ricordare – dice Vera – quanto la sua breve esistenza sia stata piena di gioia».
La sua storia, come quella di tante altre vittime della dittatura argentina, è ricostruita con precisione e profondità da Carlo Greppi nel libro "Figlia mia. Vita di Franca Jarach, desaparecida", edito da Laterza. Un’indagine puntuale, arricchita da fotografie, testimonianze e documenti. Pagine che scorrono come quelle di un romanzo, pur trattando un contenuto duro, tragico, profondamente umano.
«Cosa resta di te, Franca, su questo mare?». Cosa resta di quella ragazza brillante, che risolveva per prima i problemi di matematica e passava i risultati a tutti i compagni?
Franca, come troppi altri, venne narcotizzata e gettata da un aereo nel Rio de la Plata. Da decenni quel mare accoglie – inconsapevole – le spoglie di migliaia di innocenti di ogni nazionalità. I desaparecidos furono circa trentamila. Alcuni genitori, in quell’Olocausto sudamericano, persero tutti i loro figli.
Un libro necessario, “Figlia mia”, che non racconta solo la morte di Franca, ma anche il suo splendido vivere.
Carlo Greppi, scrittore e storico, autore di numerosi saggi sulla storia del Novecento, ci narra in queste pagine commoventi le vicende che hanno contraddistinto la breve vita di Franca Jarach, unica figlia di Vera Vigevani (classe 1928) e di suo marito Giorgio, deceduto nel 1991, senza sapere dove e come fosse morta la loro sfortunata creatura
Carlo Greppi, "Figlia mia. Vita di Franca Jarach, desaparecida", Laterza, 2024.
Euro 19 – pp. 335.