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Camminar pensando | 19 maggio 2024, 08:00

IL LIBRO DI VETTA - Una riflessione personale

Sulle cime delle montagne spesso ci si imbatte nel cosiddetto "libro di vetta"

In scrittura sul libro di vetta (Rocca la Meja) ph. Lodovico Marchisio

In scrittura sul libro di vetta (Rocca la Meja) ph. Lodovico Marchisio

Che sia sul difficile Cervino o sul facile Todum, aprire il contenitore ermetico che ripara dagli eventi atmosferici il libro, è sempre un'emozione. Spesso questo contenitore è agganciato alla croce di vetta. Ma capita anche di ritrovarlo nascosto tra le pietre che costituiscono il culmine della montagna tanto che in certi casi si deve proprio cercarlo.

Ma quando lo si trova si prova un senso di gratitudine per chi lo ha messo lì,  per coloro che ci hanno scritto sopra prima di noi e soprattutto se appeso ad una croce, simbolo totalizzante di una cima montuosa, si prova ammirazione e stupore per il Creato.
Certo non sempre è facile scriverci sopra sia per via delle condizioni del libro e della penna a sfera in dotazione ma soprattutto per via delle condizioni atmosferiche che inducono a non indugiare sulla cima: se piove, grandina, nevica o tuona il "libro di vetta" non si ha nessuna voglia di cercarlo. In tali casi si deve solo scappar giù. Quante volte mi è capitato! Ma quante altre volte mi è invece accaduto di potermi beare sul comodo cocuzzolo o tra le scomode rocce di una vetta, sotto un cielo accondiscendente e di fronte ad un panorama estasiante e pacificante di trovare quiete e serenità nel vagare tra i massi alla ricerca del fatidico "libro di vetta" per aprirlo, sfogliarlo, leggerlo e, soprattutto, per scriverci sopra.

In basso a destra il contenitore del libro tra i sassi (Rocca Bianca) ph. Mauro Carlesso

Va ricordato che il “libro” altro non è che un quaderno maltrattato dalle intemperie (o anche dagli alpinisti) ma in ogni modo ed in qualsiasi condizione si riscontrasse il "libro di vetta" l'emozione ed il desiderio di affidare ad esso un pensiero, un segno, una frase, una dedica, una firma che chissà mai che fine farà,  da chi sarà letta e se mai sarà conservata da chi ed in quale luogo, è totalizzante.

Alle volte, se la montagna da raggiungere è difficile, è proprio l'idea di poter lasciare un segno del proprio passaggio lassù a farci insistere nella salita.
Ed anche a ripensare all'origine di questo simbolo delle montagne, nato per "certificare" ai posteri il proprio e magari primo passaggio su quella vetta, si prova stupore nel raggiungere una meta sulla quale poter lasciare una propria innocua traccia. In un mondo sempre più virtuale dove tutto è scandito dalla ossessiva condivisione sui social, tracciare un segno, uno scritto leggero a testimonianza della presenza della nostra vita così effimera e minuscola rispetto alla durevolezza ed imponenza della montagna trovo che sia un gesto umanizzante per ritrovare in quella stessa montagna che ci circonda, l’incitamento, l’invito a salirla con le sole nostre forze per viverla alla pari, anche se alla pari non è ovviamente mai, per potersi sentire amati. Dalla montagna. Dal Creato. Da Dio.

Il contenitore del libro agganciato alla croce di vetta (Spitzhorli) ph. Mauro Carlesso

NOTA

La tradizione dei libri di vetta nasce nell’800 verosimilmente per lasciare sulla vetta una traccia del proprio passaggio affermandone la conquista lasciando in contenitori di vetro o latta, biglietti da visita o pezzetti di carta con il proprio nome. Foglietti che venivano sovente posti anche sotto i sassi con l’auspicio che venissero ritrovati da qualche altro prode salitore. Con l’aumento della frequentazione delle montagne si è passati da questa rudimentale forma di segnatura ai libri di vetta il cui primo esemplare riconosciuto come tale pare sia stato rinvenuto sul Pico de Aneto (Pirenei) nel 1857. I libri di vetta vengo gestiti, dalla posa, al recupero ed alla conservazione a cura delle associazioni alpinistiche nazionali (in Italia principalmente dal CAI, Giovane Montagna, SAT

Mauro Carlesso Scrittore e camminatore vegano

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