A CASA.
Quanto tempo ho trascorso nel silenzio della mia casa.
In quel nido d’aquila remoto e lontano dal corrosivo sottofondo della città.
Quanto tempo trascorro ancora oggi in quel luogo romito che mi tiene lontano, mi protegge dal clangore della gente e mi accompagna con paziente diligenza nella quiete.
Quante ore spendo ancora a camminare su e giù nella grande veranda con lo sguardo volto al lago laggiù in fondo, silenzioso come i miei pensieri.
Quante luminose mattine, quanti afosi pomeriggi e ancora quante fresche ore serotine ho trascorso seduto sull’erba del prato di casa, con le braccia conserte, a contemplare i profili delle montagne di fronte a me. Dalle più immediate alture, appena al di là del lago, alle più lontane e sfilate vette laggiù in fondo.
Le prime sono montagne ben definite nella loro morfologia e colore. Le altre sono solo snelle silhouette di colore perlopiù azzurro sfumato. Ma tutte, le une e le altre, se ne stanno là dove sono, in silenzio. Come me.
Alle volte mi chiedo se anche loro, le montagne cioè, si accorgono che le sto osservando, traendo piacere dal rispondermi infantilmente sì.
Quanto tempo passo ad ammirare le stelle, appese con invidiabile ordine e precisione nel cielo nero pieno di silenzio siderale.
E quante volte d’inverno esco fuori a cercare le tre stelle allineate della cintura di Orione: le tre piramidi del cielo.
E quando le individuo, le piramidi, ovvero le tre stelle, me ne sto lì impalato per un bel po’ fino a quando la frescura non mi sorprende consigliandomi di rincasare portando con me un po’ di quelle luci accese nel cielo, ed un po’ di quella curiosa voglia ed invidiabile tenacia che hanno le stelle di stare appese lassù, nel silenzio.
SUI MONTI.
Quante giornate ho trascorso nei territori lontani dal mondo.
Sempre dal mondo della gente intendo.
Quanti giorni ho trascorso nel silenzio delle montagne, quanta vita ho speso nella solitudine delle alte praterie, dei più alti ghiaioni e degli ancor più alti macereti.
Quanti passi ho compiuto lungo creste severe ed affilate, o lungo più ospitali crinali arrotondati, sotto il sole cocente che ti toglie il respiro. Sotto il tormento del vento, che ti toglie ancora più respiro. Sotto piogge torrenziali e nevi soffici e gelide che ti tolgono qualsiasi respiro.
Quante impronte ho lasciato sulla neve dura e ghiacciata all’andata verso la vetta, e molle e cedevole durante il ritorno dalla cima conquistata, nelle ore ormai crepuscolari.
Quanti incalcolabili istanti ho vissuto appollaiato nel silenzio delle vette: quante volte sono andato a perdermi lassù, da solo o con qualche sporadico amico taciturno. Quante volte sono andato a cercarmi lassù, approfittando di quel clamoroso silenzio per ascoltare il soffice mormorio dentro di me, per ascoltare il battito soffuso del mio cuore che nella routine quotidiana spesso non ho tempo di percepire.
Luminosa lontananza salendo al Pizzo Pernice -Val Grande- (ph. M. Carlesso)
NEI LUOGHI MISTICI.
Quanto ho camminato lungo le slanciate navate del gotico Duomo.
Che emozione camminare là dentro! Sotto le navate, intendo.
Sono alte, le navate. Sono buie come il lago di notte, le navate. Sono anch’esse piene di silenzio, le navate. Anche loro, le navate, sono come le cime alte delle montagne.
Quanto ho camminato lungo il chiostro de La Verna, evanescente luogo di ricerca. Magico ed irreale eremo costruito nel resinoso silenzio degli abeti. Slanciati anch’essi come le gotiche navate, come le alte vette montane.
Quanti passi silenziosi, ritmici e cadenzati, ho appoggiato attorno allo Stupa dall’aurora all’imbrunire financo a tarda sera.
Ma anche seduto alla sua base, sotto il pacificante sguardo che volge all’infinito del Buddha stavo lì ad aspettarmi, in attesa di ritrovarmi. Pienamente immerso nel silenzio, mi capitava di incontrare la mia vita.
Ma erano attimi fuggevoli, eterei. La parola di un passante, il sommesso mantra di un monaco, il latrare lontano di un cane annullavano quel disincanto.
Stupa (ph. M. Carlesso)
E così dovevo ricominciare.
Nella luminosa lontananza
Erano i tempi in cui cercavo di incontrare me stesso. Erano i tempi della perenne ricerca della luminosa lontananza.
Davanti alla veranda.
Sotto al cielo stellato.
Con il lago e le montagne negli occhi.
Con le vette sotto gli scarponi.
Sotto gli inarrivabili archi a sesto acuto.
A passeggio nella mente, nei chiostri o sotto gli Stupa.
E quei tempi non passano mai.
Ancora oggi me ne vado, così come allora, alla ricerca del silenzio.
Alla ricerca di quella pace che so per certo essere chiusa dentro a quei luoghi eletti traboccanti di silenzio.
È un’esperienza bella, di più, è un’esperienza estatica trovare la propria pace. Ma è un’esperienza dura. Perché non è scontato poterci riuscire.
Ed è anche un’esperienza amara. Perché quando la trovi, la pace, dura poco. (Come tutte le cose).
Ma vale la pena provarci. Sempre.
A cercare la pace, intendo.
Perché la pace, che è dentro al silenzio, che a sua volta è dentro alla vita, è esattamente come quelle montagne che si stagliano profilate d’azzurro al di la del lago. Così vicine eppure così lontane.
E quando le raggiungi, quelle montagne così vicine, scopri che altre montagne, ancora più alte e lontane si presentano incantevoli ai tuoi occhi.
E ti chiamano. E tu devi andare.
È questa la luminosa lontananza. Luminosità solare sul Lago (ph. M. Carlesso)
I temi trattati in questa breve prosa sono quanto di più caro e ricorsivo compare nelle opere di Hermann Hesse: la casa, il giardino, il lago, il cielo, le stelle, la montagna, la Natura, la solitudine, il silenzio, l’amicizia, le cattedrali, i viandanti, i ricercatori, l’Oriente…l’Azzurra lontananza.