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CULTURA | 26 gennaio 2020, 20:26

Mille baci - Il ragazzo che decise di seguire suo padre ad Auschwitz

Lunedì 27 gennaio 2020, ad Aosta nella Sala Maria Ida Viglino del Palazzo regionale, la Presidenza della Regione e l'Assessorato dell’Istruzione, Università, Ricerca e Politiche giovanili, in collaborazione con l'Istituto storico della Resistenza e della Società contemporanea, organizzano per il Giorno della Memoria, che si celebra il 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, per ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione dei cittadini ebrei, un incontro studio destinato agli allievi delle classi terminali e ai docenti delle scuole secondarie di II grado, dal titolo «Meditate che questo è stato».

Mille baci - Il ragazzo che decise di seguire suo padre ad Auschwitz

Il campo di concentramento, l’orrore, la sofferenza fisica e psichica, il tatuaggio sul braccio, l’uniforme a righe, la paura di non riuscire a sopravvivere. Ne Il ragazzo che decise di seguire suo padre ad Auschwitz (Milano, HarperCollins, 2020, traduzione di Roberta Zuppet, pagine 508, euro 19), appena uscito in libreria, il narratore e storico Jeremy Dronfield racconta la deportazione nei lager nazisti del tappezziere ebreo Gustav Kleinmann e di suo figlio quindicenne Fritz. Arrestati nel 1939 a Vienna, i due conosceranno l’inferno di Buchenwald e di Auschwitz, e lo faranno insieme.

Quando il ragazzo scoprirà che il padre è nella lista dei prigionieri da spedire nel campo delle camere a gas, in Polonia, deciderà, infatti, di seguirlo. L’uno rappresenta la forza dell’altro — «Il ragazzo è la mia gioia più grande; ci facciamo forza a vicenda. Siamo una cosa sola, inseparabili»; «Ho visto le ss picchiare i prigionieri, così cerco mio figlio con lo sguardo. Comunichiamo con il contatto visivo», è quanto riporta il vecchio Kleinmann nel proprio diario.

Il programma per il Giorno della Memoria

Di questa storia vera («Ci sono molte storie sull’Olocausto, ma nessuna come questa», avverte l’autore nella prefazione), ricostruita grazie al taccuino segreto di Gustav, al memoir e alle interviste rilasciate da Fritz nel 1997 e pure con innumerevoli testimonianze di parenti, amici e altri sopravvissuti, a colpire, oltre alla minuziosa narrazione degli eventi storici (l’ascesa e la disfatta di Hitler, la vita a Vienna negli anni Trenta, le marce della morte, Mauthausen, Mittelbau-Dora, Bergen-Belsen, la resistenza dei prigionieri nei campi, la presenza a Monowitz di Primo Levi), è la potenza con cui all’odio della Notte dei Cristalli, alle brutture inflitte dai kapò e all’insensatezza della guerra si contrappone l’amore incondizionato e resiliente di due uomini.

Torturati, ridotti in schiavitù per i lavori forzati, brutalmente allontanati dal resto della propria famiglia che — basta guardare le fotografie a corredo della narrazione all’inizio e alla fine del libro — viene inesorabilmente smembrata, Fritz e Gustav si fanno viva testimonianza per dimostrare che certi legami possono sconfiggere la macchina dell’intolleranza e dell’odio. Nonostante tutto. Non è un caso che una delle espressioni più ricorrenti nelle pagine del volume sia «mille baci».

Baci che sono simbolo d’una umanità ferita, ma subito pronta a rialzarsi e a ricominciare a vivere. Lo dice la potente matita di Gustav mentre affida i suoi pensieri alla clandestinità delle pagine bianche. A dispetto del fatto che «i morti rimanevano morti, i vivi erano pieni di cicatrici e i loro numeri e le loro storie avrebbero impedito ai ricordi di sbiadire», un giorno la libertà di tornare a casa e riabbracciare tutti gli altri sarebbe arrivata. Per andare avanti e superare la drammaticità del passato, c’è, dunque, sempre bisogno di tenerezza.

E i Kleinmann, nei campi di concentramento tra l’ottobre del 1939 al luglio del 1945 e con una storia unica perché «pochissimi ebrei attraversarono l’inferno insieme, dall’inizio alla fine, per poi tornare vivi», sono sopravvissuti proprio grazie «all’amore e alla devozione reciproci». Oggi continuano a vivere in un racconto che viene scritto e consegnato alle generazioni del futuro «con tutto il cuore». (di Enrica Riera)

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