/ ISTRUZIONE E FORMAZIONE

ISTRUZIONE E FORMAZIONE | 03 maggio 2019, 11:29

L'educazione Civica entra nei programmi didattici scolastici

L'educazione Civica entra nei programmi didattici scolastici

Abolite, alle elementari, le note sul registro e le sanzioni come l’espulsione mentre si riapre il dibattito sulla introduzione delle telecamere nelle aule. Approvata dalla Camera la norma per l’insegnamento dell’educazione civica. Se non è una dei soliti annuncio - promessa del governo giallo verde che con salvini si diletta ad anadare in Ungheria a vedere i muri di filo spinato per impedire l'ingresso dei migranti, la cosa è positiva.

L’aula della Camera dei deputati ha infatti approvato la proposta di legge che reintroduce l’educazione civica come materia obbligatoria nella scuola primaria e secondaria: i voti a favore, espressi nel pomeriggio del 2 maggio, sono stati 451, nessuno contrario, appena 3 gli astenuti. La proposta di legge approvata a Montecitorio in modo quasi unanime, passa ora all’esame del Senato.

A commentare l’avvenuta approvazione, che ora passa al vaglio di Palazzo Madama, è stato anche il ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti: su twitter, il titolare del Miur ha scritto che “torna l’Educazione Civica a scuola. La Camera ha approvato oggi la proposta di legge che la Lega ha voluto e sostenuto con forza. Perché la legalità, il rispetto, le regole della convivenza si imparano a partire dai banchi di scuola. Dalle parole ai fatti, promessa mantenuta”.

E in Valle cosa succederà?

Su Educazione e Scuola Davide Leccese commenta: "Dicono di voler reintrodurre l’insegnamento dell’ Educazione Civica nelle scuole – magari con spiegazione, interrogazione e voti - dopo aver constatato che violenza, bullismo, maleducazione, impertinenza, volgarità, non rispetto della “cosa” pubblica o comune la fanno da padroni non solo tra le mura scolastiche ma negli spazi sociali in genere.

Come al solito le ventate generaliste non passano mai di moda e con il togli e metti si ritiene di essere accorti alle esigenze emergenti di questa scombinata vita delle nostre città.

A parte la considerazione che, sempre come al solito, quando non si trova la ri-sposta opportuna a problemi incombenti, il fare riferimento all’istruzione scolastica sembra la scorciatoia declamatoria vecchia ed abusata di certe decisioni governative. Educazione sessuale, educazione ambientale, educazione alimentare, educazione stradale, educazione sanitaria; e chi più ne ha, più ne metta. E mentre la scuola decide di fare quel che si chiede, i mass media e certo modo di esser famiglia o branco giocano a sconquassare le regole del gioco, in un’altalena di valori e disvalori da schizzati.

Che capacità di mutamento di stili di vita – sul versante almeno di una civile apparenza – ha una scuola quando i giovani escono da casa (nel silenzio, nella impossibilità o incapacità di reagire, nell’indifferenza dei genitori) con i pantaloni bucati, le pance scoperte, i piercing sulla lingua, secondo le mode imposte dai continui e astutamente rinnovati “modelli” televisivi?

La scuola ha le sue colpe o i suoi limiti: prevalentemente disciplinarista, continua ad insegnare una materia senza l’altra – se non contro l’altra – in-collata allo svolgimento dei programmi, all’interrogazione e alle prove scritte e a dar sfogo alla fantasia progettuale di certi P.O.F. (ora anche P.O.N.) che spesso sono del tutto lontani dalla programmazione disciplinare e dall’integrazione dei saperi, delle conoscenze e delle competenze.

Questi giovani – secondo le statistiche ufficiali – sembrano che non sappiano più scrivere e far di conto, sostenere una passabile discussione; invece, lasciati alla libera espressione non cogente del “rendere scolastico”, manifestano una capacità, una consistenza creativa e strumentale da far rabbrividire gli adulti. Significa, alla fin fine (a meno che non ci ostiniamo a credere che vogliano ap-parire incapaci per ripicca, davanti a noi) che nella scuola spesso non sappiamo saldare dovere e piacere, obbligo di apprendere con voglia di imparare, curiosità loro con ripetitività nostra. Significa che non fanno presa i nostri discorsi fatti “per specie” (i giovani) ma non rivolti a persone, ognuna con la sua storia, in parte già scritta e molto da scrivere.

Se proprio si avverte la necessità di reimpostare il rapporto formativo della scuola si deve, a chiare lettere, rompere con i rigidi schemi disciplinari – sclerotici alla partenza e all’arrivo dello svolgimento dei programmi – e aprire varchi coraggiosi per l’ingresso di questioni trattate interdisciplinarmente, con il coinvolgimento programmato e studiato di più docenti con più competenze professionali e culturali; aprire l’aula ai dibattiti che scorrono fuori delle mura scolastiche, non come “alibi” per non fare lezione ma come confronto, anche critico, con gli apprendimenti istituzionali.

Intanto, però, la scuola continua a stare al palo della Riforma e, anche quando si muovono le truppe delle idee politiche del cambiamento, sostanzialmente si cambia lo schema ma non la natura dei processi formativi, si pensa alle ore delle materie e non all’origine dei problemi umani delle nuove generazioni, da affrontare con il coraggio rigoroso dei valori e le conoscenze progressive della cultura.

Educazione civica, purché sia in primis educazione al senso civico, alla premessa giuridico-sociale-psicologico-comportamentale che si fa stile di vita. Educazione al senso civico che ribalta l’opinione corrente che sono i diritti a fondare i doveri e non viceversa: una società di cittadini che, osservando le leggi scritte e non scritte della comunità solidale, rivendicano – a giusta ragione – i diritti derivati da questa osservanza.

Nella scuola, ad esempio, se mi chiedi di apprendere, ti chiedo di prepararti; ma se io, docente, faccio per intero il mio dovere, tu sei tenuto, come studente, a fare per intero il tuo. Non basta declamare il bisogno di una società migliore; occorre costruirla senza la protezione incosciente di certe famiglie che, quando si scoprono i bulli, reagiscono dicendo: “Sono ragazzi!”

Il cittadino che paga le tasse (dovere), ha diritto al rispetto della cosa pubblica, acquistata e gestita con i soldi degli onesti contribuenti: i banchi, le pareti, i bagni delle scuole appartengono a tutti i cittadini e nessuno ha il diritto di maltrattarli come se non fossero di alcuno o come se fossero “cosa sua”.

La verità è che ci siamo disabituati a pronunciare parole un tempo sacre, ora almeno da rispettare: La Legge, lo Stato, il Cittadino. Occorrono solo messaggi certi e forti, proposti con la competente, persuasiva proposta educativa ai giovani di una società che rischia di essere senza bandiere e con appartenenze labili".

 

red. cro.

Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore