La vicenda della scuola di Rozzano, alle porte di Milano, dove il dirigente scolastico voleva annullare la feste e le celebrazioni del Natale per non offendere la sensibilità dei bambini islamici, ha riportato d'attualità una questione che sembra di poco conto, tanto più a fronte dei problemi, e tutti gravi, che dobbiamo fronteggiare.
Ogni anno, quando ci si avvicina a Natale le iniziative per abolire la Nostra Festa per eccellenza per non offender la sensibilità di chi non è cristiano diventano sempre più numerose.
Da qualche parte ho letto che tutto cominciò una decina d’anni fa, allorché, in una scuola materna, le maestre decisero di non allestire il presepio con i bambini per non turbare la sensibilità dell’unico bimbo musulmano frequentante. In conseguenza di quella scelta, non si festeggiò neppure il Natale a scuola. Giornali e radio riferirono il fatto, che divenne "notizia". Ricordo il profondo dissenso verso quella rinuncia espresso in una intervista radiofonica dallo scrittore islamico Tahar Ben Jelloun, che trovava controproducente e assurdo togliere ai bambini il piacere di una tradizione legata ad una festa, tanto radicata nel sentimento e nel vissuto e particolarmente in quello infantile.
Vittorio Zedda, Dirigente scolastico in pensione, si è chiesto: "Che senso ha togliere o negare ai bambini il gusto di una tradizione popolare, segno di una bimillenaria cultura, di diffusione planetaria, radicata nel sentimento, nell’arte, nella letteratura, nella storia, nella vita di ogni ceto sociale e specialmente in un paese come il nostro?
Quante forme di cultura radicano nelle varie religioni e da esse traggono la loro specificità ed essenza, persino quando, nel tempo, si discostano dai loro significati originari? Perché pensare che non debbano aver spazio a scuola, se di culture si tratta? E aggiunse: non fare il presepio è una stupidaggine, anche perché nel Corano Cristo è considerato un grande profeta e molto rilievo è attribuito alla figura della Madonna, vergine e madre anche per i musulmani. Cosa questa che pochi sanno, anche fra gli insegnanti".
Zedda ha anche ricordato che "il presepe non appartiene da un punto di vista dottrinale né alla liturgia né al culto in senso stretto. Ricordate quando, all’inizio delle lezioni, le maestre facevano recitare una preghiera in classe? Una pratica che si configurava come “culto” e in quanto tale suscitò polemiche, soprattutto allorquando, aboliti i vecchi programmi della scuola elementare che indicavano la religione cattolica come “base e coronamento” dell’azione educativa della scuola dell’obbligo, la scuola pubblica veniva improntata ad una nuova laicità. Un scuola, quindi luogo di cultura, anche religiosa, si badi bene, perché dalle religioni deriva un immenso patrimonio culturale, ma non di 'culto', che si esercita in altre sedi.
Ad ogni nuovo Natale, in qualche italica scuola c'è chi si esprime contro il presepe e, guarda caso, sempre in riferimento alla presenza di musulmani fra gli allievi.
Sono posizioni che fanno emergere, come ha scritto Zedda, "più che un malinteso senso di rispetto per l’altrui diversità, un inconcepibile atteggiamento di immotivata autocensura, una sottomissione e negazione di una propria e non certo vergognosa specificità e identità culturale. I musulmani, se li conoscete bene, non abdicano a nulla della loro specificità religiosa. Anzi esibiscono con senso di superiorità, insito nella loro coscienza religiosa, i segni e gli atti del loro culto.
Il velo sul capo o il volto coperto delle musulmane anche nelle nostre città sono un’esibizione politico–religiosa, come lo è di fatto l’islam, che non è solo religione.
Tendono a mostrare che sono anche qui, con fierezza, e a loro poco importa che le nostre leggi vietino la copertura del volto in pubblico. E’ la loro è una sfida perché per loro Allah e l’unico vero Dio e Maometto è il profeta di Allah. Cristo per loro, ha predicato e preannunciato la venuta di Maometto. Quindi l’islam dovrà essere imposto al mondo intero".
Con questo tipo di mentalità, difficile attendersi dal mondo islamico atteggiamenti di autocensura o di correzione del proprio modo di contrapporsi al resto del mondo. Giustamente Zedda ha evidenziato che "in barba alle nostre leggi, sgozzano i montoni in occasione delle loro feste religiose, anche da noi, senza il preventivo stordimento dell’animale per evitargli la sofferenza della lunga agonia necessaria ad ottenere il totale dissanguamento, secondo le modalità della macellazione “halal”. E non sto a enumerare riti e tradizioni cui non rinunciano. Certamente, se fosse una tradizione loro, non rinuncerebbero a fare il presepio. Probabilmente ce lo imporrebbero senza tante storie".
E allora è bene ribadire che il presepio non è un precetto religioso; non è un atto liturgico; non è un fatto propagandistico, e nemmeno un atto di culto, per quanto di ovvia ispirazione religiosa, "ma - ha scritto Zedda - in quanto tradizione popolare è un fatto'culturale'. E la cultura non si nasconde alla vista, non offende e non si occulta: si spiega. Si aiuta a capirla, a interpretarla. Il che non significa imporla. Senza chiusure per la cultura altrui, ma soprattutto senza imbarazzo, e tanto meno vergogna, per la propria".
La sensibilità che ci porta ad assumere comportamenti rispettosi dell’altrui diversità, non può prescindere dal rispettare, anzitutto, noi stessi, e dal fatto che comunque il rispetto deve essere reciproco.
È certamente apprezzabile che, pur nella legittima manifestazione di una antica tradizione, si pensi a modi d’esprimerla nuovi e rispettosi di una mutata composizione sociale, per attenzione agli 'altri'.
Docenti e dirigenti che tanto hanno a cuore la sensibilità degli islamici non si pongono problemi quando la scuola chiude per le vacanze di Natale o di Pasqua. Perché lor signori non continuano le lezioni ai bimbi islamici?
Ha ragione Zedda: "Non è facile, ma non è possibile sottrarsi al compito che la nuova composizione sociale propone allo Stato, alla società e alla scuola. Con una forte richiesta di dialogo, che è fatto per capire altrui mentalità e per far capire la propria. Per convivere in pace, senza nascondersi e senza imporre. Senza atteggiarsi a vittime e senza fare vittime. E senza disconoscere la propria cultura".