La situazione dei servizi per le dipendenze in Valle d’Aosta appare oggi sotto pressione, specchio di un quadro nazionale fatto di frammentazione e disomogeneità. La fotografia più recente, presentata dalla Fondazione GIMBE durante il XIV Congresso Nazionale Federserd, non lascia spazio a interpretazioni ottimistiche: quasi 1.900 professionisti mancano all’appello in tutta Italia, e la Regione autonoma non fa eccezione.
Secondo Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione, «stiamo pagando il prezzo di un immobilismo normativo e organizzativo», che trasforma l’efficacia dei SerD troppo spesso nella buona volontà dei professionisti più che in una strategia chiara e coordinata. In questo contesto, la Valle d’Aosta si trova ad affrontare sfide particolari, legate sia alla dimensione ridotta del territorio sia alla distribuzione dei servizi.
Partendo dai servizi di primo livello, destinati a chi è più difficile da raggiungere attraverso i canali tradizionali, la Regione risulta completamente scoperta. Nel 2024, infatti, non è stato registrato alcun servizio di questo tipo, mentre il tasso medio nazionale per 100.000 abitanti tra i 15 e i 74 anni è pari a 0,4. Una lacuna che segnala come i soggetti più fragili possano trovare pochissimo supporto immediato sul territorio.
Meglio, seppur con numeri contenuti, va nei servizi ambulatoriali, che assicurano percorsi terapeutici, riabilitativi e farmacologici, oltre a sostegno psicologico per le famiglie. Qui la Valle d’Aosta si colloca sopra la media nazionale: 3,2 servizi ambulatoriali per 100.000 abitanti contro una media italiana di 2,6. Ma a compensare questa buona distribuzione è soprattutto il personale, che regge carichi notevoli: ogni unità di personale segue in media 16,5 utenti, contro i 24,1 della media nazionale. Una differenza che racconta di una pressione inferiore per operatore ma di una disponibilità spesso precaria e da tutelare.
Sorprendentemente, i servizi residenziali e semi-residenziali, che offrono percorsi più strutturati e personalizzati, registrano un tasso decisamente superiore rispetto alla media nazionale: 5,4 unità per 100.000 abitanti contro 2,1 in Italia. Numeri che suggeriscono una capacità organizzativa concreta, ma che non compensano l’assenza dei servizi di primo livello e la difficoltà nel garantire continuità assistenziale.
Il quadro valdostano mette in luce l’urgenza di un intervento strutturato a livello nazionale, che vada oltre le iniziative temporanee e spot. Senza una strategia chiara e il reclutamento dei professionisti necessari, anche le eccellenze locali rischiano di essere insufficienti a fronteggiare un fenomeno che tocca giovani e famiglie, e che impone un approccio di prevenzione, diagnosi e cura ben coordinato.













