Ieri, 16 maggio, si è celebrata la Giornata Internazionale della Celiachia, una patologia cronica auto-immune che provoca una reazione dell’organismo all’assunzione di glutine, causando un’infiammazione dell’intestino tenue che impedisce il corretto assorbimento dei nutrienti, compromettendo la salute del paziente.
I soggetti affetti da celiachia non possono assumere molti cibi che normalmente costituiscono la base della dieta quotidiana, quali pane e pasta: per questo la celiachia è stata riconosciuta come malattia sociale, e chi ne è affetto ha diritto ad agevolazioni su prodotti dietoterapeutici senza glutine.
I celiaci ricevono un contributo economico dalle Regioni per l’acquisto di tali prodotti. Gli importi minimi e massimi vengono fissati tramite decreto del Ministro della Salute e periodicamente aggiornati. Tuttavia, le amministrazioni regionali hanno facoltà di aumentare ulteriormente la cifra e di decidere se erogare la somma sotto forma di buoni elettronici o codici associati alla tessera sanitaria.
Il fatto che la normativa nazionale demandi molte decisioni alla Regione di residenza ha creato una situazione fortemente disomogenea, con contributi differenti a seconda del territorio.
Oltre alla necessità di una spesa alimentare su base selettiva e costosa, i celiaci devono prestare molta attenzione al rischio di contaminazione da glutine. Le fonti di contaminazione sono numerose e spesso difficili da individuare: si verificano principalmente per contatto con superfici o utensili contaminati (ripiani, posate, piatti o pentole sporchi) oppure con altri alimenti contenenti glutine.
Questo significa che devono essere adottate particolari precauzioni, soprattutto per i pasti fuori casa.
Attualmente, in Italia le persone affette da celiachia sono oltre 265.102, e si stima che almeno 600.000 siano in attesa di diagnosi.
Vista l’importanza dell’argomento e il crescente numero di persone coinvolte, l’O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha condotto uno studio sui prezzi dei prodotti per celiaci nei punti vendita della GDO, nei negozi specializzati e nelle farmacie, rilevando differenze significative.
La differenza di prezzo tra GDO, negozi specializzati e farmacie raggiunge il picco del +166% per i crackers, tra il prezzo in un negozio specializzato e quello nella grande distribuzione. Rispetto al 2016, si registra un aumento medio del +10% nelle farmacie, mentre nella GDO i prezzi sono scesi del -4%.
Lo studio ha anche analizzato i costi dei pasti fuori casa, evidenziando che i prodotti tradizionali costano in media -18,33% rispetto a quelli per celiaci. Dal 2016, i pasti per celiaci fuori casa sono aumentati del +16,7%.
Al di là dei rincari, emerge una frammentazione normativa che crea non pochi disagi. In molte Regioni non è possibile utilizzare il contributo nei supermercati o ipermercati, limitando di fatto il potere d’acquisto del buono.
Un’altra criticità è l’impossibilità di utilizzare i buoni al di fuori della Regione di residenza: chi si sposta per lavoro, vacanza o altri motivi è costretto a portarsi i prodotti da casa o a provvedere autonomamente all’acquisto.
Dettagli che possono sembrare banali, ma che sono fondamentali per chi convive ogni giorno con questa patologia. Proprio per questo, è auspicabile una revisione normativa, volta a ridurre le disparità e migliorare la qualità della vita dei pazienti.
N.B. Ristoranti, bar, pub, paninoteche, hotel, B&B, villaggi vacanza, agenzie di catering, navi da crociera, campi estivi per ragazzi, gelaterie, gastronomie, pasticcerie, ecc., possono chiedere l’inserimento nella lista delle strutture certificate AIC, rispettando specifici requisiti (come l’uso esclusivo di ingredienti gluten free e l’accettazione dei controlli periodici dell’Associazione).
Negli esercizi aderenti si può mangiare con maggiore tranquillità, anche se resta sempre buona norma segnalarsi al personale come clienti celiaci e mantenere alta l’attenzione sul cibo servito.