C’è un tempo per tutto. Ma c’è un tempo che scade. E quando scade, insistere diventa ostinazione cieca, forse colpevole. È quello che denunciano, con parole nette, Legambiente Valle d’Aosta e il Comitato per la Tutela e la Salvaguardia dell’Alpe Cortlys.
L'Alpe Cortlys si trova nell'alta valle di Gressonney, ai piedi del ghiacciaio del Monte Rosa, sullo sfondo del Ghiacciaio del Lys, nel cuore di un paesaggio incontaminato. Si estende tra i torrenti Lys e Salzen, fino alla conca di Staffal. Diversi studiosi hanno definito l'intera area intorno a Cortlys una zona di fondamentale interesse ove è possibile effettuare importanti studi sui cambiamenti climatici. La zona è interessata dal progetto di realizzazione di una centrale idroelettrica privata, che prevede un intervento strumentale alla captazione delle acque del torrente Lys e che inizialmente comprendeva anche la realizzazione di una pista di cantiere attraverso il bosco di Sikken.
L'attuazione di questo piano, altamente invasivo, compremetterebbe irrimediabilmente un'area di grandissimo valore paesaggistico, dalle caratteristiche geomorfologiche e ambientali uniche. Insieme al ghiacciaio di Rutor, infatti, l'alpe Cortlys è l'unico esempio di anfiteatro morenico integro nell'arco alpino occidentale.
Il valore eccezionale dell'alpe ha portato a moltissime segnalazioni al censimento 2010, che sono sfociate in un intervento del FAI.Il 7 maggio, dopo sedici anni dalla concessione, è ripartito il procedimento autorizzativo per un impianto idroelettrico in una delle aree più fragili della nostra regione. Ma loro, e con loro altre realtà ambientaliste e residenti della zona, dicono forte e chiaro: “È un impianto fuori tempo.”
“È fuori tempo massimo per l’utilizzazione razionale dell’acqua concessa: sono passati sedici anni dalla data della concessione (2009) che ha durata trentennale. Ne restano quattordici, senza tener conto dei tempi che sarebbero necessari a realizzare l’impianto”, denunciano.
E ancora: “È fuori tempo per il rispetto della normativa di tutela ambientale ed ecologica. Le disposizioni applicate sono quelle in vigore nel 2004, anno della domanda di concessione”. Tradotto: si applicano norme vecchie di vent’anni, superate da evidenze scientifiche e regolamenti più rigorosi in materia di biodiversità e qualità delle acque.
E poi c’è il dato più drammatico, quello che inquieta chiunque osservi le vette valdostane con occhi lucidi e non solo con calcoli economici: “È fuori tempo perché incompatibile con il cambiamento climatico in atto che ha cominciato a manifestare i propri drammatici effetti anche nella nostra Regione. [...] È da abbandonare invece del tutto la realizzazione di nuove infrastrutture, in contesti ad altissimo rischio idrogeologico come quello periglaciale di Cortlys, vulnerabile a smottamenti, frane e alluvioni.”
Un bollettino di guerra annunciata, che dovrebbe bastare per bloccare qualsiasi progetto nato in un altro millennio.
Invece no. La macchina burocratica va avanti, come se nulla fosse cambiato. Come se non stessimo vivendo la stagione più calda e instabile mai registrata, con ghiacciai in ritirata e piogge torrenziali sempre più imprevedibili.
“Temiamo conseguenze normativo-ambientali gravi – spiegano ancora – come il declassamento dello stato del corpo idrico da ‘elevato’ a ‘buono’ e l’abolizione di uno dei siti di rilevamento della rete ARPA. Temiamo che ciò possa aprire la strada a un futuro possibile potenziamento dell’impianto.”
E nel frattempo? Nel frattempo si parla di espropri. Di famiglie che vivono a trenta metri dalla futura centrale. Di un sito naturale che la stessa Regione ha definito “fragile”. Eppure il rischio è che a prevalere sia ancora una volta la logica del profitto mascherato da “sostenibilità”.
E allora bisogna dirlo con fermezza: Cortlys non è solo una battaglia ambientalista. È una cartina di tornasole della nostra idea di futuro. Di come intendiamo lo sviluppo. Di quanto valga davvero l’ecologia nelle scelte pubbliche.
Perché se non ha più senso costruire centrali idroelettriche dove la natura non lo consente più, se non ha più senso parlare di energia verde laddove il verde viene sacrificato, allora bisogna avere il coraggio di fermarsi.
Serve un gesto politico, sì. Ma serve soprattutto un sussulto etico. Lo chiedono associazioni, studiosi, cittadini. E dovremmo chiederlo anche noi, ogni volta che attraversiamo una valle come quella del Lys e ci accorgiamo che quel silenzio, quella bellezza, quel fragile equilibrio, valgono più di qualsiasi megawatt.