La neve se ne sta lì, ostinata, come un vecchio che non vuole lasciare la panchina. Non fa rumore, ma blocca tutto. E allora, come ogni primavera, tocca a loro: uomini e turbine, lame d’acciaio e fresaneve, catene che mordono l’asfalto.
Da metà aprile l’Anas è tornata sui fronti alti della Valle d’Aosta. Due i campi base: La Thuile, dove si sale verso Les Suches e il Piccolo San Bernardo, e Saint-Rhémy-en-Bosses, sulla statale 27 che risale al Gran San Bernardo, fino ai 2400 metri del confine svizzero.
Il lavoro non è per impiegati del week-end. È per chi sa aspettare e sa leggere i segni della neve. Si sgombera come si scrive un libro, pagina dopo pagina. Ogni metro conquistato è una storia da raccontare. E non sempre la neve lascia raccontare tutto.
Quattro chilometri al Piccolo, sette e mezzo al Gran: su quei tornanti l’aria sa ancora di gelo e i muri bianchi arrivano a coprire le cabine. Ma piano piano la carreggiata riappare, come un filo nero cucito nella stoffa dell’inverno. Si rimontano le barriere, si raddrizzano i cartelli, si saluta l’ultima valanga. Il passo è aperto quando lo dice la montagna, non il calendario.
Il bollettino ufficiale dice che si punta a fine maggio, primi di giugno. Ma chi conosce queste cime sa che il Piccolo e il Gran San Bernardo si lasciano corteggiare a lungo. Poi, un mattino, si arrendono. E allora la strada torna a essere confine, scambio, passaggio. Torna a parlare tre lingue, come i suoi valichi. E anche la neve, infine, tace.