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CRONACA | 20 aprile 2025, 10:15

Messe e offerte: Nell'uovo di Pasqua addio al “3x2” per i defunti. Il Vaticano fa ordine 'e un po’ di pulizia'

Cronache dal confine tra il sacro e il pratico. Una messa, una intenzione, una offerta. E non di più. Ecco il Decreto del Dicastero per il Clero sulla disciplina delle intenzioni delle Sante Messe, 13.04.2025

Messe e offerte: Nell'uovo di Pasqua addio al “3x2” per i defunti. Il Vaticano fa ordine 'e un po’ di pulizia'

“Signore, ricordati di nostro fratello...”, recita il prete durante la messa, e il pensiero corre al nonno, alla zia o a quel vicino di casa burbero ma generoso che “almeno la messa, per lui, la voglio far dire”. Fin qui, tutto regolare. Ma dietro quelle parole, che sembrano un tenero gesto di pietà cristiana, si muove un mondo: intenzioni, offerte, bollettari parrocchiali, agende piene zeppe e... qualche furbizia.

Il Vaticano ha deciso di dire basta ai "componimenti misti" nelle intenzioni delle messe: dal 20 aprile (cioè da Pasqua), entra infatti in vigore un nuovo decreto del Dicastero per il Clero, che regola in modo più stringente le celebrazioni con offerte. Una rivoluzione liturgico-amministrativa, firmata dal cardinale Lazzaro You Heung-sik, che rischia di mandare in pensione il vecchio motto non scritto: “Più intenzioni, più offerte, una sola messa”. E anche un certo "pragmatismo pastorale".

Il principio cardine del decreto è semplice, quasi evangelico nella sua chiarezza: una messa, una intenzione, una offerta. E non di più. Il sacerdote potrà trattenere solo una di queste offerte, il resto (se proprio si dovesse fare una celebrazione collettiva) dovrà essere redistribuito. Magari verso missioni o parrocchie bisognose. Dunque, cari fedeli: se vi state domandando se il vostro parroco può leggere otto nomi in una sola e tenersi le otto buste... ecco, da oggi decisamente no.

Ma attenzione, non tutto è proibito. Ci sono eccezioni — ben regolamentate — per le cosiddette “messe collettive”: il decreto le consente, sì, ma solo se tutti gli offerenti sono informati e d’accordo. Niente trucchi, niente imboscate liturgiche. E soprattutto: l’offerta deve restare libera, non una tariffa obbligatoria, come fosse un listino.

Papa Francesco, da sempre allergico ai “sacramenti con il prezzo affisso”, ha benedetto il decreto ricordando che “la Chiesa non è una dogana”. Nessuno dovrebbe sentirsi escluso da una celebrazione solo perché non ha il portafoglio pieno. E infatti, il decreto sottolinea che è vivamente raccomandato celebrare le messe anche senza ricevere alcuna offerta, specie per i più poveri. Una linea di principio forte, che ribalta l’idea di una Chiesa "a gettone".

È chiaro, però, che molte parrocchie – soprattutto quelle in difficoltà – fanno affidamento su queste offerte per pagare le bollette, tenere su l’oratorio, magari anche per far quadrare conti che spesso gridano pietà più di un’anima in purgatorio. E allora, il Dicastero per il Clero lancia un appello: incentivare le offerte, sì, ma senza forzature, valorizzando la consapevolezza dei fedeli. E se possibile, mantenendo viva l’usanza (molto apprezzata) di inviare le intenzioni e le relative offerte alle missioni nei Paesi più poveri. Dove una messa può davvero fare la differenza.

Per non lasciare nulla al caso, il Vaticano ha anche previsto un “tagliando” a dieci anni: tra un decennio si controllerà l’applicazione del decreto e si deciderà se aggiornarlo. Una verifica per vedere se davvero, nel tempo, sarà cambiata l’abitudine di cumulare intenzioni come fossero punti fedeltà.

Ecco, caro lettore, un piccolo esempio di come, anche nella Chiesa, le “regole del gioco” possano cambiare — e non solo per motivi spirituali, ma anche molto terreni. Perché tra il desiderio sincero di ricordare i propri cari e la necessità concreta di sostenere le parrocchie, si muove una zona grigia che il decreto ha tentato, con equilibrio, di rischiarare.

Insomma: le messe non sono in saldo. E la memoria dei defunti, come la grazia, non si può pagare a rate.

Messe, offerte e nuove regole: domande frequenti

Devo per forza fare un’offerta per chiedere una messa?
No. L’offerta è libera e non obbligatoria. Nessuno può rifiutarsi di celebrare una messa per mancanza di offerta. È un gesto di generosità, non un pagamento.

Posso far celebrare più intenzioni in una sola messa?
Solo in casi eccezionali. Dal 20 aprile 2025, ogni messa dovrebbe essere dedicata a una sola intenzione. Le messe collettive sono possibili solo se tutti gli offerenti sono informati e consenzienti.

Il parroco può tenere tutte le offerte?
No. Anche in caso di messa con più intenzioni, il sacerdote può trattenere l’offerta relativa a una sola intenzione. Le altre vanno destinate alle parrocchie in difficoltà o alle missioni.

E le missioni? Posso sostenere una messa anche lontano da casa?
Sì, ed è fortemente incoraggiato. Le intenzioni (e relative offerte) possono essere inviate alle missioni nei Paesi più poveri, dove il valore spirituale e concreto è spesso ancora più grande.

Le parrocchie valdostane sono pronte?
Molti parroci si stanno organizzando, soprattutto in realtà montane dove l’alto numero di richieste e la scarsità di sacerdoti rende difficile la messa “uno a uno”. Il dialogo con i fedeli sarà essenziale per applicare le nuove regole con buon senso.

Il consiglio finale?
Parla con il tuo parroco. Chiedi senza paura. E se puoi, fai un’offerta: non per “comprare” qualcosa, ma per sostenere una comunità viva. (elaborazion ascova)

Decreto del Dicastero per il Clero sulla disciplina delle intenzioni delle Sante Messe, 13.04.2025

«Secundum probatum Ecclesiae morem, sacerdoti cuilibet Missam celebranti aut concelebranti licei stipem oblatam recipere, ut iuxta certam intentionem Missam applicet» -«Secondo l’uso approvato della Chiesa, è lecito ad ogni sacerdote che celebra la Messa, ricevere l’offerta data affinché applichi la Messa secondo una determinata intenzione» (can. 945 § 1 CIC).

«L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa»[1].

Coscienti di questa grazia, i fedeli per mezzo dell’offerta vogliono unirsi più strettamente al Sacrificio Eucaristico aggiungendovi un sacrificio proprio e collaborando alle necessità della Chiesa e, in particolare, contribuendo al mantenimento dei suoi sacri ministri.

In questo modo i fedeli si uniscono più intimamente a Cristo che offre sé stesso e sono, in un certo senso, ancor più profondamente inseriti nella comunione con Lui. Quest’uso non solo è approvato dalla Chiesa, ma da essa è anche promosso[2].

L’apostolo Paolo scrive che quanti servono l’altare hanno anche diritto di vivere dell’altare (Cfr I Cor 9, 13-14; I Tim 5, 18; Lc 10, 7). Le norme raccolte nei primi secoli informano circa doni offerti volontariamente nella celebrazione dell’Eucaristia. Di essi una parte era destinata ai poveri, una parte allamensa episcopalise a coloro ai quali il Vescovo offriva ospitalità, una parte al culto e una parte ai chierici celebranti o assistenti, secondo un criterio di distribuzione prestabilito [3].

Quanti facevano offerte erano, in tal modo, coinvolti in maniera speciale nel Sacrificio Eucaristico. I doni offerti durante l’Eucaristia, e successivamente anche al di fuori, erano considerati come una ricompensa a un benefattore, come un dono in occasione del servizio(occasione servitii)compiuto dal sacerdote, come un’elemosina e mai come “prezzo di vendita” per qualcosa di santo; ciò infatti diventerebbe un atto simoniaco.

In questo tempo la Messa veniva già celebrata, su richiesta dei fedeli, per una determinata intenzione, anche se non accompagnata da un dono. Successivamente si sviluppò l’uso di offrire un’elemosina per la celebrazione di una Messa e di dare doni al sacerdote o alla Chiesa. Proprio questa pratica costituisce il precedente dell’offerta per la celebrazione della Messa. A partire dalla fine del decimo secolo, per chiedere la celebrazione della Messa per una determinata intenzione, venivano offerti doni commemorativi. In questo stesso periodo sorgono le fondazioni di Messe, ovvero l’obbligo di celebrare Messe per intenzioni prefissate. Nacque così l’uso di elargire un’offerta in occasione della Messa, usanza che la Chiesa, non solo approva, ma raccomanda e promuove.

La consuetudine secolare e la disciplina della Chiesa insiste perché a ciascuna singola offerta corrisponda la distinta applicazione, da parte del sacerdote, di una Messa da lui celebrata. La dottrina cattolica, inoltre, manifestata anche dalsensus fidelium,insegna il beneficio spirituale e l’utilità, nell’economia della grazia, per le persone e i fini per i quali il sacerdote applica le Messe che celebra, nonché, in questa stessa prospettiva, il valore dell’applicazione reiterata per le stesse persone o finalità.

Quanto poi all’applicazione in rapporto alla quale è stata ricevuta, nel senso suesposto, un’offerta, è stato più volte espresso il divieto di applicare una sola Messa per più intenzioni, per le quali sono state accettate rispettivamente più offerte.

Tale prassi, come anche la mancata applicazione di una Messa in rapporto all’offerta accettata, sono state giudicate contrarie alla giustizia, come viene ripetutamente espresso nei documenti ecclesiastici[4].

Non meno illecita sarebbe la sostituzione dell’applicazione promessa nella Messa con la sola “intenzione di preghiera” nel corso di una celebrazione della Parola o con una semplice menzione in alcuni momenti della celebrazione eucaristica.

La disciplina della Chiesa in materia, anche astraendo da discorsi di natura prettamente teologica, s’ispira palesemente a due ordini di considerazioni: la giustizia verso gli offerenti, e cioè il mantenimento della parola data agli offerenti, e il dovere di evitare che ci sia anche solo la mera apparenza di “commercio” di cose sacre (Cfr cann. 947; 945 § 2 CIC).

In tempi più recenti sono, tuttavia, emerse situazioni e richieste, che hanno suggerito di adattare alcuni particolari della disciplina, creando un’eccezione alla legge universale, proprio per salvaguardare tutto quanto risulta essenziale.

Tra queste troviamo la carenza di clero in grado di soddisfare le richieste di Messe, il dovere di non «frustrare la pia volontà degli offerenti, distogliendoli dal buon proposito»[5], insieme alla constatazione che l’uso delle Messe, cosiddette “collettive”, «qualora si allargasse eccessivamente [...] deve essere ritenuto un abuso e potrebbe ingenerare progressivamente nei fedeli la desuetudine di offrire l’obolo per la celebrazione di Messe secondo intenzioni singole, estinguendo un’antichissima consuetudine salutare per le singole anime e per tutta la Chiesa» [6], costituiscono solo alcune delle ragioni per le innovazioni.

Era su questo sfondo che, il 22 febbraio 1991, l’allora Congregazione per il Clero emanò il DecretoMos iugiter [7].

Il Decreto, ribadendo i capisaldi dottrinali e le norme fondamentali della disciplina, già accolta dalCodex Iuris Canonici,prevede che, a determinate condizioni, e solo in tali casi, il sacerdote possa comunque applicare una sola Messa per più intenzioni, in rapporto alle quali ha ricevuto offerte distinte.

Le condizioni formulate intendevano, per l’appunto, da una parte, assicurare la giustizia, e cioè il mantenimento della parola data agli offerenti, e dall’altra allontanare il pericolo, o anche solo la parvenza, di “commercio” di cose sacre.

È proprio la volontà di esclusione di tale pericolo che consentiva di adottare simili modifiche disciplinari. Concretamente, in questa prospettiva, il Decreto stabilisce soprattutto che, solo nel caso in cui i donatori dell’offerta siano stati opportunamente informati e abbiano espresso il proprio accordo [esplicito consenso], si possano raccogliere più offerte per un’unica celebrazione della Messa, e che tale celebrazione non sia quotidiana, onde evitare di ingenerare una prassi comune e al fine di mantenere il carattere dell’eccezionalità.

Trascorsi oltre trentaquattro anni dall’entrata in vigore del DecretoMos iugiter,in base all’esperienza da allora accumulata, in risposta alle osservazioni, ai quesiti e alle sollecitazioni pervenute da diverse parti del mondo, dai Vescovi, ma anche da membri del clero, da fedeli laici e dalle persone e comunità di vita consacrata, questo Dicastero, avendo considerato in profondità tutti gli aspetti della materia, e dopo ampia consultazione con gli altri Dicasteri interessati,sive ratione materiae sive alia ratione,ha maturato il giudizio che occorrano ora nuove norme che disciplinino la materia, adeguandola conformemente.

In considerazione dell’opportunità di aggiornare la normativa e, nello stesso tempo, di renderla anche più esplicita nell’esclusione di talune prassi che, abusivamente, si sono verificate in vari luoghi, questo Dicastero ha disposto di emanare, e ora emana, le norme che seguono, a integrazione della disciplina attualmente vigente in materia:

Art. 1 § 1Rimanendo fermo il can. 945 CIC, se il concilio provinciale o la riunione dei Vescovi della provincia, tenendo conto di condizioni quali, per esempio, il numero dei sacerdoti rispetto alle richieste di intenzioni o il contesto sociale ed ecclesiale, nei limiti della propria giurisdizione lo dispone per decreto, i sacerdoti possono accettare più offerte da offerenti distinti, cumulandole con altre e soddisfacendovi con una sola Messa, celebrata secondo un’unica intenzione “collettiva”, qualora - e soltanto qualora - tutti gli offerenti ne siano stati informati e liberamente abbiano acconsentito.

§ 2Tale volontà degli offerenti non può mai essere presunta; anzi, in assenza di un consenso esplicito, si presume sempre che non sia stata data.

§ 3Nel caso di cui al § 1, al celebrante è lecito tenere per sé l’offerta di una sola intenzione (Cfr cann. 950-952 CIC).

§ 4Ogni comunità cristiana sia attenta a offrire la possibilità di celebrare Messe giornaliere di intenzione singola, per le quali il concilio provinciale o la riunione dei Vescovi della provincia fissano lo stipendio stabilito (Cfr can. 952 CIC).

Art. 2Fatto salvo il can. 905 CIC, qualora il sacerdote celebri legittimamente l’Eucaristia più volte nello stesso giorno, se necessario e richiesto dal vero bene dei fedeli, può celebrare differenti Messe anche secondo intenzioni “collettive”, restando fermo che gli è lecito trattenere, quotidianamente, una sola offerta per una sola intenzione tra quelle accettate (Cfr cann. 950-952 CIC).

Art. 3 § 1Occorre soprattutto tenere presente le disposizioni del can. 848 CIC il quale stabilisce che il ministro, oltre alle offerte determinate dalla competente autorità, per l’amministrazione dei sacramenti non domandi nulla, evitando sempre che i più bisognosi siano privati dell’aiuto dei sacramenti a motivo della povertà. Si osservi inoltre quanto vivamente raccomandato dal can. 945 § 2 CIC, vale a dire «di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta».

§ 2Per la destinazione delle offerte si applichi,congrua congruis referendo,la norma del can. 951 CIC.

§ 3In considerazione delle circostanze specifiche della Chiesa particolare, e del suo clero, il Vescovo diocesano può, per legge particolare, disporre la destinazione di tali offerte alle parrocchie in stato di necessità della propria o di altre diocesi, specialmente nei paesi di missione.

Art. 4 § 1Spetta agli Ordinari erudire il rispettivo clero e popolo circa il contenuto e significato di queste norme, e vigilare sulla loro corretta applicazione, curando che si annotino accuratamente sull’apposito registro il numero delle messe da celebrare, le intenzioni, le offerte e l’avvenuta celebrazione nonché prendendo ogni anno visione di tali registri, personalmente o tramite altri (Cfr can. 958 CIC).

§ 2In modo particolare, sia gli Ordinari che gli altri Pastori della Chiesa debbono assicurare che sia a tutti eminentemente chiara la distinzione tra l’applicazione per un’intenzione determinata della Messa, (ancorché “collettiva”) e il semplice ricordo nel corso di una celebrazione della Parola o in alcuni momenti della celebrazione eucaristica.

§ 3Sia specialmente reso noto a tutti che la sollecitazione o anche solo l’accettazione di offerte in relazione alle due ultime fattispecie è gravemente illecita; laddove simile uso sia indebitamente diffuso, gli Ordinari competenti non escludano il ricorso a misure disciplinari e/o penali per debellare tale deprecabile fenomeno.

Art. 5In vista dei valori anche soprannaturali connessi con la veneranda lodevole prassi di ricevere l’offerta elargita affinché applichi una Messa secondo una determinata intenzione (Cfr can. 948 CIC), per favorire altresì l’apprezzabile usanza di trasferire nei paesi di missione le intenzioni di Messe in esubero con le corrispondenti offerte, curino i Pastori di anime di incoraggiare opportunamente i fedeli a mantenerla, e laddove fosse indebolita, a rinvigorirla e promuoverla, anche attraverso l’opportuna catechesi sui novissimi e sullacommunio sanctorum.

Art. 6Laddove il concilio provinciale o la riunione dei Vescovi della provincia nulla dispongano in materia rimane in vigore quanto previsto dal DecretoMos iugiterdel 22 febbraio 1991.

Il Dicastero per il Clero, trascorsi dieci anni dall’entrata in vigore delle presenti norme, promuoverà uno studio della prassi nonché della normativa vigente in materia, in vista di una verifica della sua applicazione e di un eventuale aggiornamento.

Il Sommo Pontefice, in data 13 aprile 2025, Domenica delle Palme, ha approvato in forma specifica il presente decreto e ne ha ordinato la promulgazione, disponendonel’entrata in vigore il 20 aprile 2025, Domenica di Pasqua, derogatis derogandis, contrariis quibuslibet minimeobstantibus.

Lazzaro Card. You Heung sik

Prefetto

✠Andrés Gabriel Ferrada Moreira

Arcivescovo Tit. di Tiburnia

Segretario

E.Rosaz

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