Il messaggio dell'Anpi:
Cari Aldo, Livio e Nadia, Cari Giorgia e Christian, Caro Renato,
Cari familiari, comprendiamo quanto sia difficile per voi accompagnare questo padre, nonno e fratello, Nando. Il dolore della separazione, della privazione di quegli insostituibili affetti familiari, del vuoto incolmabile che lascia una grande anima. Una separazione che avviene, fra l'altro, dopo poco tempo dalla morte della sua amata Albina.
Vi siamo grati al contempo di consentire all'ANPI, di rendere il dovuto omaggio e il sentito tributo a un partigiano, a quel giovane ragazzo che scelse da che parte stare. A differenza delle altre volte che ho salutato un partigiano non dirò il suo nome di battaglia, indispensabile nella lotta clandestina, perché a lui proprio non piaceva e forse anche poco lo rappresentava. Lui così solare, simpatico e sempre pronto alla battuta nulla aveva a che vedere con quel nome. Amava la musica e il ballo, la compagnia ed era sempre molto elegante. Per anni ho creduto fosse un dirigente, un impiegato di banca e lui naturalmente me lo faceva credere, forse anche sorridendo.
Nando, un partigiano, un ragazzo di diciotto anni, costretto a crescere in fretta nell’inferno della guerra. L’adolescenza fugata da quei tempi bui, ottenebrati dalla dittatura.
L’8 settembre 1943 Nando si trovava a Trieste e di quel giorno ricorda che si sentivano spari nella città, molti soldati scappavano, e anche lui decise di fuggire, prima verso il porto e poi su un treno per tornare a casa, a Fadalto, il suo paese, nei pressi di Vittorio Veneto nel trevigiano, perché non sapeva cosa sarebbe potuto accadere. Pochi giorni dopo, a sorpresa, comparvero a casa i due fratelli maggiori, Paolo ed Enzo, che erano in servizio sotto l’esercito fascista in Jugoslavia: anche loro avevano abbandonato la divisa, ed erano tornati in Veneto saltando di treno in treno. Qualche mese dopo, Nando venne inserito nella Brigata “Fratelli Cairoli” appartenente alla Divisione Garibaldi “Nino Nannetti” del Cansiglio nei pressi di Belluno assieme a tre fratelli e vi rimase fino alla “Liberazione”.
Il Cansiglio è un altopiano situato a circa 1.000 metri di altitudine, in gran parte ricoperto di boschi, dove predominano faggi e abeti rossi. Qui tornarono a casa molti dei giovani che erano partiti soldati per le più diverse destinazioni. L’esperienza della guerra fascista e i ricordi dei padri li avevano già resi coscientemente antifascisti. La prima azione che svolgono è quella di solidarietà e appoggio ai militari sbandati, fra cui vari inglesi fuggiti dai campi di prigionia. Nella primavera del 1944 le azioni partigiane si intensificano. Cresce parallelamente la reazione nazifascista: all’inizio di aprile l’altopiano viene investito da un feroce rastrellamento cui però le bande partigiane riescono a sfuggire In maggio, il 6 e il 16, la zona viene investita ancora da due pesanti rastrellamenti, che peraltro non riescono a intercettare i partigiani, i quali si erano defilati senza subire perdite. Il mese successivo gli attacchi partigiani si intensificano e per la metà di luglio l’altopiano del Cansiglio è sgombro di forze nazifasciste e diventa una zona libera, ma mai una repubblica partigiana.
Come ovunque, la fame è il primo problema; anche qui i partigiani cercano di riorganizzare l’approvvigionamento, bloccando i prodotti e il bestiame che i contadini dovevano consegnare all’ammasso, per distribuirli alla popolazione secondo il bisogno. Gli animali vengono macellati in grotte sulla montagna, e la carne è distribuita in base al numero dei componenti delle famiglie. Come in tutte le zone libere, il comando partigiano deve occuparsi anche di sanità, cercando di riorganizzare un minimo di assistenza medica e di ricovero ospedaliero per i combattenti e i civili. Ai primi di settembre sul Cansiglio si scatena una grande battaglia che dura 9 giorni; la situazione militare diventa però insostenibile e il Comando unificato ordina di abbandonare l’altopiano; rastrellamenti e rappresaglie continuano per tutto il mese di settembre, come in tutta la regione.
Nando non amava molto parlare di questi avvenimenti, il suo animo allegro si trasformava, si rattristava e invitava a leggere i libri sulla Resistenza nel Cansiglio dove avremmo trovato tutto. La fame, le preoccupazioni date alla madre, le morti e le uccisioni non abbandonavano i suoi ricordi.
Finita la guerra Nando si stabilisce per 15 anni in Francia, dove lavora, si sposa e ha figli. Nel 1970 la sua famiglia si trasferisce in Valle d’Aosta, dove c’è un altro fratello ad aspettarli e del lavoro. Mancava a tutti l’Italia, per questo ci tornano: però a Fadalto di lavoro non ce n’era, e tutti i fratelli sono emigrati. Al paese era restata solo la mamma, che, fino alla fine, aspetta.
Aspetta quel figlio Paolo, partigiano deportato e mai più tornato. Dopo 75 anni, grazie alle ricerche di Alice, moglie di Christian, Nando e la sua famiglia sapranno che quel ragazzo era stato registrato nell’archivio del campo di Mauthausen e la data della sua scomparsa è dunque il 16 febbraio 1945, appena 3 mesi prima della liberazione del campo che trova attualmente in Austria. Questa storia aveva rasserenato Nando.
L'unica cosa che vorrei dirvi è che abbiamo tutti voluto molto bene a Nando e continueremo a ricordare quello che ha fatto. Il suo coraggio e sacrificio, come quello dei suoi compagni, finché esisterà l'ANPI NON sarà stato inutile, ma continueremo a ricordare che grazie a loro ci sono stati quasi ottant'anni di pace. Lo faremo sostenendo e accompagnando Alice nella presentazione della sua fiaba "Lupi ribelli" proprio dedicata ai racconti di Nando.
L'impegno è continuare ad essere staffette di quei valori che partigiani come Lui ci hanno trasmesso.
Ciao Nando. Ora e sempre Resistenza.