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AMBIENTE | 27 luglio 2022, 14:59

L’impatto della crisi idrica sulle rinnovabili: perché acqua ed energia sono correlate

Lo stress idrico che sta colpendo in questo periodo l’Italia e molti altri Paesi europei pone al centro dell’attenzione lo stretto legame che unisce acqua ed energia. Si tratta di una relazione molto forte che riguarda tutte le fonti, sia fossili che rinnovabili, come è stato già evidenziato in uno studio del World Resources Institute (WRI) intitolato “No Water, No Power”. Cerchiamo di capirne i motivi

L’impatto della crisi idrica sulle rinnovabili: perché acqua ed energia sono correlate

La necessità di acqua per generare energia non riguarda solo il settore idroelettrico, ma anche le centrali termoelettriche, quali reattori nucleari, unità a gas, a carbone e a biomasse.

Questo perché si tratta di impianti che richiedono moltissima acqua, ad esempio per garantire la funzionalità dei sistemi di raffreddamento o per generare vapore.

L’acqua viene prelevata direttamente da fiumi e laghi situati in prossimità delle centrali. Nel caso delle centrali nucleari (ricordiamo che la Francia è il Paese europeo che fa più ampio ricorso al nucleare) gli impianti pompano acqua dai fiumi o dal mare per garantire il raffreddamento dei reattori, per poi rigettarla riscaldata, dovendo rispettare limitazioni legate alle temperature.

Sempre più frequentemente, a causa delle intense ondate di calore che provocano l’abbassamento del livello dei fiumi e il veloce riscaldamento delle acque, si sono susseguite dallo scorso mese di maggio in poi delle sospensioni alla produzione di energia nucleare francese.

In che modo risolvere questo problema caratteristico degli impianti termoelettrici? Una delle soluzioni suggerite dalla comunità scientifica e di investire nelle tecnologie di raffreddamento ad aria e nei sistemi di recupero-riciclo dell’acqua.

Esistono tipologie di impianti che non richiedono invece l’utilizzo di grandi quantità di acqua: è il caso dell’eolico e del fotovoltaico. Quest’ultimo, ad esempio, richiede solo il 2-15% dell’acqua utilizzata dalle centrali a carbone e da quelle nucleari per ogni megawattora prodotto.

Secondo uno studio condotto dal docente di economia solare Christian Breyer dell’Università finlandese LUT, un sistema energetico globale basato sulle energie rinnovabili ridurrebbe di oltre il 95% il consumo di acqua legato alla produzione di energia convenzionale.

Tra le soluzioni possibili per gestire la crisi idrica, c’è quella della dissalazione, cioè il processo attraverso il quale viene resa potabile l’acqua di mare.

Questa tecnica sta mostrando una forte diminuzione dei prezzi grazie al perfezionamento dei processi e allo sviluppo dei materiali: dai tre dollari del 2019, si è scesi nel 2020 a un costo di 1,5 dollari al metro cubo.

Inoltre, tra i vantaggi c’è il fatto che la dissalazione risulta complementare alle fonti rinnovabili perché proprio le zone aride e con il maggior irraggiamento solare sono quelle che ospitano gli impianti fotovoltaici dove i dissalatori sono più usati. E questo genera una forte sinergia: infatti, l’unione tra impianti di dissalazione e generazione solare (ma anche eolica, CSP e termoelettrica) consente di limitare le emissioni, ridurre i costi energetici e la loro volatilità legata ai combustibili. (Fonte Cva Energie)

pyred

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