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CULTURA | 31 dicembre 2021, 09:47

A proposito di identità valdostana

l’arrivo dei Veneti, dei Calabresi, dei Siciliani e di altre popolazioni “Italiane” è stata la vera ricchezza della Valle d’Aosta, ci ha donato una delle gioventù migliori del Paese ed ha posto riparo alla pesantissima emigrazione in Francia nei primi anni del ‘900, testimoniata dall’Abbé Petitgat

A  proposito di identità valdostana

Vale la pena di fare chiarezza sia sul concetto di identità - sul quale ha insistito parecchio il Professor Telmon dell’Università di Torino durante un Convegno Nazionale dell’Unionturismo in Costa Smeralda – ed in particolare sul concetto di identità Valdostana. 

Senza scomodare il lungo tragitto dei “marrani” della penisola iberica perseguitati dall’inquisizione spagnola e riparati anche nelle Valli laterali del nostro ducato Sabaudo, è sufficiente leggere le pagine di Storia dedicate alle varie immigrazioni succedutesi dopo la peste del 1600, per non parlare dei successivi insediamenti da varie Regioni d’Italia con la conseguenza che nel libro di Marco Cuaz “Storie Valdostane” la ricerca sulle famiglie più citate nomina i Mammoliti, Fazari, Giovinazzo e Raso prima dei cognomi “locali” come Bionaz.

E’ bene dire che l’arrivo dei Veneti, dei Calabresi, dei Siciliani e di altre popolazioni “Italiane” è stata la vera ricchezza della Valle d’Aosta, ci ha donato una delle gioventù migliori del Paese ed ha posto riparo alla pesantissima emigrazione in Francia nei primi anni del ‘900, testimoniata dall’Abbé Petitgat.

Non dimentichiamo i Valdostani di origine che, durante la prima guerra mondiale, hanno dato la vita per la Grande “Patrie” senza per altro ottenere riconoscenze, come si vede dalla misera lapide sotto i portici del Municipio.

L’identità di un popolo parte in primo luogo dalla lingua tradizionale delle genti che è un sigillo di appartenenza e di “comunità” aperto comunque e sempre al contributo di altre lingue che arricchiscono il patrimonio culturale della Regione e dello Stato.

Sono dunque Valdostani di origine e di adozione tutti coloro che vivono ed operano in questa Terra amandola e rispettandola come piccola Patria in seno alla grande nazione italiana. Bisogna anche aggiungere che occorre insegnare il patois iniziando dalla scuola primaria e che la lingua francese – la nostra “langue maternelle” – dovrebbe avere maggior spazio sia nei programmi televisivi che in quelli scolastici, per non parlare del Consiglio Regionale dove gli interventi nella lingua di Racine e di Molière sono sempre più rari.

Non dimentichiamo che il Conseil des Commis utilizzò il francese negli atti pubblici al posto del latino nel 1536 anticipando di tre anni la stessa Francia.

Gia Franco Fisanotti

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