Ci riferiamo alla bozza di Piano Regionale per la Salute e il Benessere Sociale in Valle d’Aosta 2022-2025. Secondo noi è un piano poco dettagliato, in cui non è così chiaro chi è coinvolto nel dirigere le varie strutture ed il rapporto tra di esse.
Soprattutto non si parla di tempi di realizzazione e fonti di finanziamento, che sono invece molto importanti sia per arginare questa pandemia o per altre eventuali emergenze, sia per migliorare significativamente le cure primarie e l’organizzazione ospedaliera. La preoccupazione è che trascorrano altri anni o decenni per la realizzazione del piano, come per tante opere qui in Valle, mentre sul territorio la riorganizzazione va fatta oggi, ed è possibile. Per dirla come Greta Thunberg, basta bla.bla.bla…
Un altro problema importante è che si parla di strutture, ma non si definisce bene un piano per valorizzare professionalmente, da un punto di vista culturale-scientifico, organizzativo, ambientale, tecnologico, ma anche economico il personale per rendere confortevole e conveniente il lavoro in Valle al fine di evitare le fughe in altre Regioni ed attrarre invece operatori sanitari da fuori area. Non ci sembra che si parli molto di formazione e di aggiornamento professionale. Essenziale è, invece, il rapporto collaborativo con le Università (la nostra compresa), anche estere, per dare la possibilità di avere specializzandi (anche in ambito ospedaliero), contribuire all’insegnamento, partecipare a studi clinici, alla ricerca, e poter usufruire di una formazione continua.
Per l’attrattività del personale sanitario ci sono delle proposte tardive, quando il vaso è oramai colmo e sta per traboccare, vedi la Libera Professione Intramuraria e le convenzioni assicurative di cui si parla da oltre 20 anni. In questo campo bisogna agire con cautela per non penalizzare le professionalità oggi ancora esistenti in loco. Gli eventuali incentivi dovranno essere strutturali ed equi per tutti i professionisti. Abbastanza condivisibili le proposte di revisione delle attività sul territorio.
Ci sembrano, però, copiate semplicemente dai piani sanitari di altre Regioni (molto più lungimiranti della nostra) e in linea con quanto da noi già sommariamente suggerito nel ProgettoSalute2030 elaborato a luglio 2020. Responsabilità grave dei nostri Amministratori è che, pur avendone coscienza (sono trascorsi quasi 10 anni da quando sono stati presentati dei piani per la riorganizzazione dei servizi territoriali in cui già si parlava di Case della Salute e Ospedali di Comunità) politici ed amministratori che si sono succeduti nel tempo presso l’assessorato della Sanità, non abbiano preso seriamente in carico il problema, contribuendo a cronicizzare una situazione di degrado che oggi è sotto gli occhi di tutti i cittadini (almeno di quelli che hanno voglia di capire e guardare), vedi la mortalità più elevata e gli indici di efficacia-efficienza peggiori del Paese Italia.
Abbiamo anche delle perplessità rispetto alla riduzione a soli 2 Distretti perché da una parte si parla di rilancio del territorio e dall’altra si riducono (ancora una volta) i centri organizzativo-gestionali. Sembrano un po’ confusi i vari ruoli organizzativi (dirigenze, interdipendenze di e tra Distretto, AFT, UCCP, Case della Comunità) e non sono chiare le fonti di finanziamento, i budget e su quali autonomie gestionali potranno contare questi nuovi servizi. Sarebbe stato più snello e senza sovrapposizioni lasciare 4 Distretti con compiti dirigenziali (rilievo dei fabbisogni, programmazione, organizzazione dei servizi, ecc.) e le Case di Comunità, con tutti gli attori socio-sanitari e amministrativi necessari, per erogare i servizi.
Per quanto riguarda l’Ospedale di Comunità, secondo le indicazioni del PNRR dovrebbero essercene almeno 2, mentre ci sembra che vi sia il finanziamento di uno solo. L’Ospedale di Comunità non deve essere solo la struttura in cui si ricoverano pazienti non ad alta complessità provenienti dal territorio o dall’Ospedale, ma anche i pazienti chirurgici non più complessi, per cui riteniamo che 1 solo Ospedale di Comunità sia insufficiente, a maggior ragione tenendo conto della territorialità della nostra Regione. Non si capisce bene chi deve dirigere, organizzare, gestire la struttura, che deve essere strettamente pubblica.
Per quanto riguarda l’Ospedale per acuti valgono tutte le considerazioni, già note, relative alla mancanza grave di uno studio comparativo con un Ospedale completamente nuovo fuori dal perimetro urbano. La difficoltà e l’inopportunità di costruire un Ospedale su un’area museale, che limita e penalizza entrambi i progetti, i costi ed i tempi di realizzazione superiori, la pericolosità di far atterrare un elicottero in città, i problemi enormi di viabilità soprattutto durante gli anni di lavori per la parte nuova (già si parla apertamente di 8 anni solo per il “pezzo” nuovo aggiuntivo), la torre materno-infantile e la ristrutturazione del Parini. Per quanto riguarda le pandemie, il COVID-19 ha confermato (qualora ce ne fosse ancora bisogno) che le problematiche si risolvono con la modularità, flessibilità strutturale, tecnologica e percorsi adeguati, più camere singole, ecc., che necessitano di spazi e soluzioni strutturali impossibili da realizzarsi nel progetto attuale.
Così come l’umanizzazione del ricovero prevede soluzioni ambientali che necessitano di spazi, di verde, che non possono trovare applicazione nell’ipotesi ampliamento. Riteniamo altresì antifunzionale ed antieconomico un blocco materno infantile separato, soprattutto se dotato di sale operatore autonome in quanto costituirebbero un nuovo spreco di tempi, energie, personale, risorse. Le sale operatorie dovrebbero essere riunite in un unico blocco.
Non è chiaro come si vuole organizzare l’attività per intensità di cure, perché intensità di cure non vuol dire realizzare un ospedale h12 ed un ospedale h24, ma attivare reparti superando la logica rigida delle Unità Operative con personale, struttura e posti letto fissi. Per quanto riguarda il tentativo di preservare le attività chirurgiche con bassi volumi di attività, occorrerebbe valutare in maniera obiettiva i risultati in termini di efficienza ed efficacia, in linea con gli standard nazionali, per vedere per quali tipi di interventi realizzare invece una cooperazione attiva con le strutture universitarie limitrofe. Al momento non entriamo nel merito della riorganizzazione più “sociale”. Vorremmo però far presente che molte strutture per anziani o non autosufficienti non sono strutturalmente ed organizzativamente adeguate a sostenere un’eventuale altra ondata della pandemia, a cominciare dall’impossibilità di differenziare i percorsi di personale, ricoverati e sporco-pulito. Inoltre è carente tutta la parte ludica e quella rivolta al mantenimento della salute fisica e mentale.
Va da se che il giudizio complessivo su questa proposta di Piano della Salute non può che essere negativo e soprattutto lamentiamo il fatto che il nostro Comitato (che ad oggi conta oltre 1100 firmatari) non sia mai stato coinvolto in nessuna fase di predisposizione del medesimo. Non è un bel biglietto da visita per chi parla di progettare il futuro ascoltando anche le parti sociali, la società civile, gli operatori e quelli che, in qualche modo, potrebbero apportare idee utili al miglioramento vero del nostro servizio sanitario.
E non è sufficiente dichiarare che sarà aperto uno sportello virtuale, aperto a tutti i suggerimenti, per superare questo ostacolo. Il problema è “ascoltare” davvero i portatori di interesse che operano nel settore e noi, per esperienza, possiamo dire di non essere mai stati coinvolti se non in una fase preliminare in cui abbiamo presentato il nostro ProgettoSalute.