Quando il cielo si ottenebra e nubi limacciose ricoprono l’ultima stella che brilla lontana, l’oscurità più totale raggela l’animo e ti senti perduto per sempre.
La mente, anima dell’esistenza, ti pone un’ultima ancora di salvezza per non sprofondare nell’abisso che si apre voluttuoso e comodo per porre fine alla sofferenza della vita.
L’epidemia in corso, che ha oscurato il mondo intero, ti riporta immagini di bare senza nome portate via e bruciate come cumuli senz’anima, mentre cuori straziati piangono disperati per non aver potuto portare l’ultimo conforto alla persona amata.
In quel frangente i miei due figlioli Stella e Walter perdevano il loro bene più prezioso, la loro adorata mamma, mentre io annaspavo prigioniero in questa prigione senza sbarre apparenti, dilaniato dal male fisico e psichico.
Colpito nel giro di un anno da due forme invalidanti, la prima alla colonna vertebrale e la seconda da un “parkinsonismo” che colpisce gli arti riducendone la mobilità (bradicinesia), ma soprattutto solo in quel buio più totale nel quale l’ultima stella si era spenta per non più riapparire.
La mia “Stella” è in Canada e non può annullare il distacco causa l’epidemia e piange per la mamma perduta senza averla potuta raggiungere e il papà sofferente, rigando il cielo di qualche puntino illuminato che tenta di comparire, perché anche il dolore può risvegliare una luce ancora avvolta nella penombra perché oscurata da un vento raggelante.
Walter, mio figlio alpinista rimasto in Italia, non si arrende a vedere il suo papà “capocordata” ridotto così, ma è egli stesso prigioniero di un lockdown che ha allontanato le persone per non farle morire di contagio, ma le ha annientate del bene più prezioso: il bisogno di stringersi l’un l’altro abbracciati quale unione fra anime vaganti nell’empireo della solitudine.
Manca cioè quel filo conduttore, quella stella rapita dal buio, la sorella tanto amata che non può raggiungerci. Poi finalmente riaprono le frontiere e oggi mia figlia è volata da noi con la sua famiglia per riaccendere quella “stella” da troppo tempo ormai oscurata dalle tenebre di un nemico senza volto e senza anima.
Il corpo come d’incanto si ricollega alla mente ricordandomi l’amore dei miei figli e nipotine che meglio di ogni terapia è stato in grado di riaccendere in me quella fiammella che era ormai da troppo tempo fievole e in parte svanita.
Accompagnato dalla loro fiducia verso di me siamo tornati finalmente riuniti verso quei passi che hanno guidato tutta la nostra esistenza salendo ben tre monoliti, essenza della purezza per la forma slanciata e inaccessibile, e una cima, anche se sorretto e trascinato claudicante all’apice, ma come ai vecchi tempi con i compagni di cordata che un padre vorrebbe sempre avere a suo fianco (i propri figli).
Prima che mia figlia facesse ritorno in Canada le ho promesso che nei momenti di tristezza e crollo psicologico mi aggrapperò ai ricordi di queste splendide giornate vissute insieme che ci sono state concesse dalla vita per offrirci un’altra occasione.