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CRONACA | 11 luglio 2020, 13:22

Processo Geenna, i pentiti confermano l'esistenza di un locale di n'drangheta ad Aosta

Ricostruiti nell'aula bunker del carcere delle Vallette a Torino alcuni episodi criminali finora mai emersi, come la comparsa di due Kalashninov in Valle e un violento pestaggio in un bar di Aosta, mai denunciato dalle vittime

Da sn i giudici Maurizio D'Abrusco, Marco Tornatore ed Eugenio Gramola (presidente) componenti il collegio giudicante nell'aula bunker

Da sn i giudici Maurizio D'Abrusco, Marco Tornatore ed Eugenio Gramola (presidente) componenti il collegio giudicante nell'aula bunker

"Furono mio padre e mio zio a raccontarmi dell'esistenza di un locale di 'ndrangheta in Valle d'Aosta e a presentarmi alcuni membri importanti. I miei familiari sono fieri di appartenere alla 'ndrangheta e certe cose le sanno bene". Lo ha detto questa mattina, in videocollegamento da luogo protetto con l'aula bunker del carcere 'Lo Russo e Cotugno' alle Vallette di Torino, il collaboratore di giustizia Domenico Agresta, 31 anni, durante la 12esima udienza del processo 'Geenna' in corso al tribunale di Aosta sulla presenza di una presunta 'ndrina valdostana.

 Il pm Stefano Castellani e l'avvocato di parte civile Giulio Calosso

 

 Accusati dal pm della Dda Stefano Castellani e imputati in Geenna sono Marco Sorbara, consigliere regionale sospeso; Monica Carcea, ex assessore al Comune di Saint-Pierre (sciolto nell'ottobre scorso per infiltrazione 'ndranghetista a seguito della relazione della Commissione antimafia), entrambi accusati di concorso esterno in associazione mafiosa; Nicola Prettico, consigliere comunale ad Aosta sospeso, Alessandro Giachino, dipendente del Casinò di Saint-Vincent e il ristoratore Antonio Raso, tutti e tre accusati di associazione per delinquere di stampo 'ndranghetista e quindi di essere membri della locale di Aosta. Altri 11 imputati sono a processo in rito abbreviato al tribunale di Torino (sentenza attesa per venerdì 17 luglio)

'Ad Aosta comandano i Nirta'

Agresta è detenuto per condanne definitive di omicidio, traffico di droga e di armi. Si è pentito nel 2016, "dopo un percorso di formazione e scolarizzazione avviato in carcere ma soprattutto dopo aver preso coscienza dei miei sbagli" ha detto Agresta, precisando poi che "i miei familiari hanno reagito molto male al mio pentimento, sono loro che mi hanno affiliato al locale di Volpiano, che è di fatto alleato al locale di Aosta".

Agresta ha spiegato di essersi recato nel capoluogo valdostano in due circostanze, per trattare compravendita di cocaina e hashish con Giuseppe Nirta (classe 1965, assassinato in Spagna nel 2017) e il fratello Bruno (imputato in Geenna a Torino) e che affiliati alla 'ndrangheta sarebbero anche i fratelli Giuseppe (classe 1952, attualmente in carcere per traffico di droga nell'ambito dell'operazione Feudora) e Domenico Nirta. Il collaboratore ha anche precisato di aver conosciuto in carcere uno dei fratelli Di Donato, da lui ritenuto affiliato al locale di Aosta ma ha ribadito che "sono i Nirta a comandare il locale di Aosta, di questo sono sicuro".

Dopo Agresta si è seduto sulla sedia del testimone il pentito Rocco Francesco Ieranò, una condanna definitiva per omicidio e due per associazione di stampo 'ndranghestista. Ieranò ha detto di non conoscere un'eventuale struttura di 'ndrangheta ad Aosta ma ha detto di aver saputo che a trattare alcuni traffici di droga in Valle d'Aosta erano stati i fratelli Domenico e Francesco Mammoliti, quest'ultimo imputato nel processo Geenna torinese. 

 

Armi pesanti e inquietanti personaggi

Ha poi deposto il terzo collaboratore di giustizia, Daniel Panarinfo, 27 anni, scarcerato dopo quattro anni di carcere per traffico di stupefacenti. Panarinfo in aula ha ricostruito le vicende criminali vissute praticamente quotidianamente insieme a Bruno Nirta, di cui fu 'braccio destro' in alcune operazioni di traffico di droga e per l'acquisto di armi; operazioni che a suo dire coinvolsero anche la Valle d'Aosta: il pentito incalzato dal pm Castellani ha ricordato che Giuseppe Nirta gli aveva confidato di aver nascosto due Kalashnikov AK 47 in una località della Valle e di aver recuperato un revolver di grosso calibro da un acquirente di droga che gli doveva dei soldi. A quanto risulta, i Kalashnikov non sono mai stati recuperati. Invece, 70 mila euro frutto di spaccio di cocaina sarebbero stati imboscati "in un bidone".

Panarinfo ha poi parlato, senza farne il nome, di un misterioso personaggio presunto fiancheggiatore della locale aostana, forse iscritto alla massoneria a Nizza, che vantava collaborazioni con i servizi segreti e con la Dia; il teste ha anche asserito che i Nirta dietro compenso fornivano protezione a criminali e ad 'amici' come ad esempio Pietro Mauro, pluripregiudicato per una serie di truffe. Ha poi ricostruito episodi in cui i Nirta e i loro 'uomini d'onore' dimostrarono particolare aggressività, come il violento pestaggio di cui rimasero vittime due valdostani in un bar: "Addirittura Bruno temette che potessero essere morti dalle botte che avevano preso. Sul posto arrivarono le Forze dell'ordine ma i due valdostani picchiati se n'erano già andati e il barista minimizzò l'accaduto, così su quel fatto non furono svolte indagini".

Il pentito ha più volte confermato, per quanto di sua conoscenza, che a comandare il locale di 'ndrangheta di Aosta era Bruno Nirta, con la 'collaborazione stretta' dei fratelli Di Donato ma che in realtà suo fratello Giuseppe non fu mai un vero e proprio affiliato.

Parla per la prima volta Marco Di Donato

Testimone oggi anche l'imputato (a Torino) Marco Fabrizio Di Donato, che ha parlato per la prima volta da quando è iniziata l'inchiesta e ha ribadito in aula, con tono talvolta sprezzante, di non aver mai avuto a che fare con la 'ndrangheta e di non aver da questa mai tratto alcun vantaggio economico. "Se devo pagare delle colpe - ha detto Di Donato - già lo sto facendo perchè sono in carcere, ma non mi si deve cucire addosso un vestito che non è della mia misura". Alla lettura della trascrizione di un'intercettazione in cui, secondo gli inquirenti, Marco Di Donato avrebbe citato alcuni pregiudicati, il teste ha detto di non riconoscersi nella telefonata: "Non sono io a parlare; chi è stato intercettato ha bestemmiato la Madonna, cosa che io non faccio mai, per me è impossibile".

Di Donato ha poi smentito di aver mai stretto un patto criminale con Antonio Raso per il controllo dei voti alle elezioni comunali del 2015 e ha negato di aver mai incontrato insieme all'imputata Monica Carcea l'allora Presidente della Giunta, Augusto Rollandin. In merito ad alcune sue conversazioni con Alessandro Giachino e altri imputati, Di Donato ha insistito: "Parlavamo di tante cose, anche di ipotetiche truffe magari ma erano solo sciocchezze, dei 'pour parler'". Al che il presidente del collegio giudicante, ha replicato: "Insomma, Lei più che altro ha fatto sempre e solo dei 'pour parler', delle chiacchiere...". 

Tra gli imputati in Geenna c'è anche Roberto Alex Di Donato, processato con il rito abbreviato a Torino, che oggi chiamato a deporre come teste si è avvalso della facoltà di non rispondere. 

 

p.g.

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