Il commercio elettronico corre, e corre forte. In Italia cresce più del doppio rispetto al commercio tradizionale, ma senza travolgerlo. Anzi. I numeri raccontano una realtà meno apocalittica di quanto spesso si voglia far credere: quasi il 90% delle vendite al dettaglio continua a passare dalle attività fisiche. L’online pesa il 13% del totale retail, con un valore economico vicino ai 60 miliardi di euro. È tanto, ma non è tutto. E soprattutto non è ovunque uguale.
La Valle d’Aosta, come spesso accade, sta nel mezzo. Da un lato è tra le regioni con la più alta percentuale di residenti che acquistano online: il 47,2%, subito dietro Trento. Dall’altro mantiene una rete di negozi di prossimità che, pur tra mille difficoltà, continua a resistere. Non è un dettaglio folkloristico: in una regione di montagna, il negozio non è solo un punto vendita, è un presidio territoriale, sociale, persino linguistico. È relazione, servizio, riconoscimento reciproco. È vita quotidiana che non passa da un carrello virtuale.
Il dato nazionale conferma che tra il 2019 e il 2024 l’e-commerce è esploso (+72,4%), la grande distribuzione è cresciuta in modo costante (+16,4%), mentre i negozi di vicinato hanno comunque tenuto (+2,9%). Poco? Forse. Ma in un contesto di desertificazione commerciale di intere aree interne italiane, quel segno più è quasi una dichiarazione di resistenza. E in montagna vale doppio.
Qui entra in gioco la politica, quella vera, non fatta di slogan sul “ritorno ai borghi” buoni per i manifesti. Se, come rileva la Cgia di Mestre, nei Paesi e nei territori dove la regolazione è debole e la pressione fiscale è alta il commercio online cresce più rapidamente, allora la conclusione è inevitabile: il destino dei negozi di paese non è scritto dal mercato, ma dalle scelte pubbliche.
In Valle d’Aosta questo tema dovrebbe stare al centro dei programmi, non nelle note a piè di pagina. Salvaguardare i paesi di montagna della Petite Patrie significa anche – e forse soprattutto – difendere e innovare il commercio di prossimità. Servono politiche mirate: fiscalità di vantaggio reale per chi tiene aperta un’attività in un comune periferico; contributi legati non solo all’apertura, ma alla continuità del servizio; incentivi all’ibridazione tra negozio fisico ed e-commerce locale, perché il digitale può essere un alleato e non solo un nemico.
C’è poi il nodo dei servizi: consegne coordinate, piattaforme territoriali, logistica condivisa tra piccoli esercenti. Da soli non ce la fanno, insieme sì. E qui la Regione e i Comuni possono fare la differenza, se smettono di pensare al commercio come a un settore residuale e iniziano a trattarlo come un’infrastruttura essenziale, al pari delle strade o della banda larga.
Difendere il negozio di paese non è nostalgia. È una scelta politica che riguarda la coesione sociale, la qualità della vita, la tenuta demografica delle comunità alpine. Un paese senza negozi è un paese che lentamente si spegne, anche se Amazon consegna in 24 ore.
La Petite Patrie non si salva con i click, ma nemmeno ignorando il mondo che cambia. La sfida è tutta qui: governare il cambiamento senza sacrificare l’anima dei territori. E questa, Piero, è una responsabilità che chi si candida a governare la Valle d’Aosta non può più permettersi di eludere.













