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Chez Nous | 27 ottobre 2025, 08:00

Statues de sel

Statue di sale

Statues de sel

C’è un’immagine che riassume il nostro tempo meglio di qualsiasi analisi politica: quella della moglie di Lot, pietrificata nel voltarsi a guardare indietro. Una statua di sale, simbolo di chi resta immobile mentre tutto intorno cambia, brucia o crolla.

E in Valle d’Aosta, diciamolo chiaramente, siamo diventati proprio questo: un popolo di statue di sale. Fermi, muti, impietriti davanti alla lenta dissoluzione dei nostri diritti autonomistici.
Un lettore mi ha scritto parole che pesano come macigni: “Dico!! Nessuno si pone il problema dei diritti dell’autonomia. Gravissima mancanza. Pensare che, ora, con queste maggioranze dovrebbe essere il pretesto del programma attuale. I valdostani risentono l’argomento della soppressione dei nostri diritti e per il prossimo futuro confidano in una tenace presa di posizione dei nostri amministratori.”

Ha ragione. Nessuno — né in Consiglio regionale né a Palazzo municipale — sembra voler sollevare la questione di fondo: a che punto siamo con la difesa dell’autonomia?
Si parla di bilanci, di appalti, di foto di gruppo, ma del cuore politico e culturale della Valle d’Aosta non parla più nessuno. È come se la parola autonomia fosse diventata un cimelio, da citare nei discorsi ufficiali e dimenticare subito dopo l’applauso.

E qui, mi sia concesso, una frecciata va lanciata anche verso piazza Chanoux. Il sindaco di Aosta sembra aver dimenticato che guida il capoluogo regionale, non un condominio di periferia.
Aosta non è un municipio qualsiasi: è la capitale politica e simbolica dell’autonomia valdostana. Da lì dovrebbero partire segnali, visioni, scelte coraggiose. E invece, il silenzio.
Sembra che l’Amministrazione si accontenti di gestire la routine, come se la città fosse un semplice elenco di pratiche urbanistiche e non il cuore pulsante di una comunità che rischia di smarrire se stessa.

Le maggioranze regionali, poi, non se la passano meglio. Parlano di riforme e strategie, ma il tema dei diritti autonomistici — che dovrebbe essere il fondamento di ogni programma — è finito ai margini, sepolto sotto il linguaggio tecnico delle delibere.
E così l’autonomia, quella vera, quella vissuta e sentita, si spegne lentamente. Non per colpa di un decreto romano o di una direttiva europea, ma per indifferenza locale.

La storia ci insegna che le autonomie non si difendono con la nostalgia, ma con la vigilanza.
E invece noi guardiamo indietro, al tempo in cui bastava pronunciare la parola “autonomia” per sentire un brivido d’orgoglio. Ora ci voltiamo solo per rimpiangere, e nel farlo — come la moglie di Lot — ci pietrifichiamo.

Serve una scossa, una voce che rompa il torpore. Serve che qualcuno, finalmente, dica: “L’autonomia è viva solo se la esercitiamo, se la difendiamo, se la pretendiamo.”
Perché altrimenti, fra una delibera e un selfie istituzionale, resteremo solo questo: un popolo che guarda il passato e si trasforma, lentamente ma inesorabilmente, in statue di sale.

Statue di sale

On a tous en tête l’image biblique : la femme de Lot qui se retourne et se transforme en statue de sel. Eh bien, en Vallée d’Aoste, on n’en est pas loin : un peuple figé, immobile, pétrifié par l’inaction et le silence de ses élus.

Un lecteur nous le rappelle avec un soupir de désespoir : « Je dis !! Personne ne se préoccupe des droits de l’autonomie. Gravissime. Avec ces majorités, cela devrait pourtant être le cœur du programme actuel. Les Valdôtains ressentent la menace de suppression de nos droits et comptent sur une prise de position tenace de nos élus. »

Et que fait-on ? Rien. Nada. Silence total. On échange des sourires sur les photos officielles, on signe des délibérations poussiéreuses, mais personne ne défend vraiment ce qui fait de nous une région autonome.

Le maire d’Aoste, de son côté, semble croire qu’il gère un village tranquille plutôt que le chef-lieu régional. Aoste n’est pas une commune lambda : c’est le cœur politique de l’autonomie valdôtaine. Et pourtant… silence radio. On dirait qu’entre un arrêté municipal et un selfie sur les réseaux, le vrai rôle de capitale régionale s’est volatilisé.

Les majorités régionales ne valent guère mieux. Elles parlent de programmes et de réformes, mais le sujet central — nos droits autonomistes — est relégué aux oubliettes. L’autonomie, celle qui se vit et se revendique, s’éteint lentement. Pas à cause de Rome ou de Bruxelles, mais parce que nos élus ont adopté la posture préférée de tout politicien : faire semblant d’agir tout en restant immobile.

Rappelons-le : les autonomies ne se défendent pas en faisant des discours ou des communiqués de presse. Elles se défendent avec de la vigilance, de l’audace et, parfois, un peu d’indignation publique. Or, nous regardons tous en arrière, regrettant un passé glorieux, et, à force de nous retourner, nous devenons — comme la femme de Lot — des statues de sel.

Alors oui, il faut secouer le cocotier. Exiger que l’autonomie ne soit pas qu’un mot, mais une pratique quotidienne. Que le maire et ses adjoints se rappellent qu’Aoste n’est pas un musée, et que nos majorités régionales arrêtent de faire semblant. Sinon, d’ici peu, la Vallée d’Aoste entière pourrait servir d’exemple : comment transformer un peuple fier en décor immobile, entre selfies et délibérations poussiéreuses.

piero.minuzzo@gmail.com

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