In questa epistola — che pubblico integralmente perché merita di essere letta senza tagli, senza commenti — si intrecciano la lingua della gratitudine e quella dell’orgoglio, il dolore per le ferite ricevute e la serenità di chi ha dato tutto, con umiltà e coerenza. Nuti parla di simboli e di demoni, di parole che uniscono e parole che dividono, del valore del noi contro l’arroganza dell’io. Rivendica un’idea di politica come servizio, come costruzione collettiva, come cura silenziosa della città anche nei gesti invisibili.
Non mancano le frecciate a chi ha avvelenato il clima, a chi ha mistificato la realtà, a chi ha preferito lo scontro alla comprensione. Ma è una lettera che, prima di tutto, si offre come gesto di riconciliazione con la città e con il tempo trascorso: una fine che è anche confine e scopo, come insegna la parola latina finis.
Leggere queste pagine significa anche interrogarsi su cosa lasciamo quando passiamo, e cosa resta di noi oltre le opere materiali. C’è un lascito politico, certo, ma c’è soprattutto un’idea di cittadinanza consapevole, attiva, capace di riconoscere il valore della complessità in un tempo che invece la rifugge.
Buona lettura. E, in qualche modo, buon viaggio. (pi.mi)
DE FINIS
Adunque, siamo alla fine. Per finire ci vogliono delle parole, possibilmente precise e ben dette, che sono gli unici strumenti per dare un senso a questa vita e per allungarla e addolcirla oltre i dolori, le perdite, le sconfitte.
Sono farmaco le parole e sono veleno: di quest’ultimo ne abbiamo ricevuto molto in questi anni, senza mai rispondere ai vigliacchi somministranti, e senza lamentarsi di questo. Per un certo modo di pensare il vivere civile e l’esercizio della cosa pubblica le parole sono simboliche (syn-bállein), e quindi uniscono, consolano, salvano; per i populisti e i demagoghi, per i cittadini corrotti, da che mondo è mondo, le parole si fanno diaboliche (dia-bállein), e quindi dividono, aggrediscono, uccidono.
Allora noi, che crediamo nel valore dei simboli e rifuggiamo dai demoni, scaviamo un po’ tra una parola e l'altra, più avanti compiremo anche dei riti laici, ricchi anch'essi di un grande potere evocativo: Finis in latino ha tre significati: fine, termine delle cose, confine tra un luogo e un altro, una stagione della vita e un’altra e fine come scopo.
Ogni cosa, presenza, essere vivente o accadimento muore: sentiamo che è cosa giusta, ma non sappiamo perché e non ci diamo pace; dall'altra parte ogni fine corrisponde a una nascita, nebulosa, piena di incognite quanto di speranze. Ma soprattutto, è solo alla fine di un’esperienza che se ne coglie il senso fino in fondo. Tutti noi, quando iniziamo un viaggio, siamo come Cristoforo Colombo: partiamo alla ricerca di una méta e ne scopriamo un’altra, non meno bella, non meno intensa, sicuramente autentica.
Abbiamo attraversato questa stagione turbolenta ma ricca di opportunità e di occasioni di crescita con un entusiasmo corale, fatto di amicizia – sembra un paradosso in politica – e di espressioni d'affetto, spinti da una gran voglia di prendere, tutti insieme, le nostre immagini del 2020, inquadrate da una cornice disegnata dall’amica Chicco Margaroli, e di farle diventare realtà tangibile. Il programma di governo era molto ambizioso e, come tutti i documenti preliminari, con ancoraggi solidi alla realtà da una parte, ma anche alcune fantasticherie dall’altra. Tuttavia, abbiamo appurato una cosa: evidentemente, pochi elettori e forse neppure i movimenti politici leggono approfonditamente queste promesse oppure se ne dimenticano, perché, se no, non si spiegherebbero le alzate di scudo di fronte all'attuazione di quanto scritto e nondimeno non si permetterebbero di darmi dell’arrogante, come ha fatto su un giornale cattolico un “Noi moderato” ancorché Fratello d’Italia quando non abbiamo fatto altro che onorare fino in fondo, in piena coerenza, un impegno preso sotto giuramento di fronte ai cittadini e alle cittadine di questa città. E non capita così spesso nella storia recente come in quella passata.
Spulciamolo, quindi, il vecchio documento alla fine di questo viaggio, vediamo se il “viandante” ha visto trasformare in meglio la città lungo il suo cammino come aveva immaginato o se ha attraversato macerie, degrado, malavita ovunque, trascuratezza e incuria addirittura immobilismo (non avete fatto nulla in quattro anni e poi...), come narrano coloro che, con rozzezza e povertà di spirito, usano le parole come venenum e non come pharmacon diffondendole nell’infosfera per guarire dalla paura di morire, che certo attanaglia tutti noi, ma che noi esorcizziamo in altro modo: lasciando segni vivi sulla terra.
Inizio narrazione
Ecco un bilancio di fine mandato, che è in risultato di una visione della nostra città, non solo "necessaria" come è stato detto, perché con questa formula sembra di enfatizzare solo le sue funzioni: "serve a…”. Invece Aosta èuna realtà vivente plurale e stratificata, fatta di tante anime compresenti che, come dice Amin Maalouf, configurano un'identità non come “radice immobile, ma come un albero che si apre al vento”. Questa pluralità si è tradotta in una centralità data alla cultura, crocevia di idee e spirito d'innovazione, alla cura della persona e alla sua ricreazione, alla rigenerazione degli spazi urbani. Ma ha riverberato altresì una riorganizzazione dell'amministrazione che la rende più flessibile, digitale, non verticistica ma interpolare; la pluralità si traduce altresì in un sistematico ricorso a strumenti innovativi differenziati: non solo appalti, ma project financing, leasing in costruendo, coprogettazioni con il Terzo Settore, concessioni per la valorizzazione dei beni comunali. Non ci siamo chiusi nella logica della mera gestione, ma abbiamo sperimentato e osato, consapevoli che innovare, come diceva Hannah Arendt, “è l’unico modo per non morire lentamente nella burocrazia del già detto”.
Lasciamo tutto questo alla popolazione e alle nostre memorie qui, dentro l'agorà più antico e sacro della città, affinché resti una traccia del viaggio: questo, ma persuada chi verrà che “cambiare per cambiare”, interrompere presunte nefaste discontinuità non produce che la morte delle cose e non il loro sviluppo, fatto – certo di continuità e discontinuità – ma immerse in un unico flusso vitale.
Ho ascoltato innumerevoli persone che hanno lamentato la scarsa capacità comunicativa di questa amministrazione: la migliore versione è "avete fatto tanto, ma comunicato male". Certo, non abbiamo trascorso il nostro tempo a registrare video o a postare commenti perché abbiamo creduto fosse più importante cogliere un'opportunità storica, lasciare opere e non chiacchiere e rispondere a cittadini e interlocutori quando le critiche erano giuste spiegando e spesso scusandoci, senza mai nasconderci dietro a notizie false ma neppure senza alzare le mani davanti alle ragioni delle mancanze. Non abbiamo usato parole per contrapporci alle distorsioni della realtà vomitateci addosso. Ora lo posso dire: non ho potuto, purtroppo, innaffiare le piante giovani come avrei tanto voluto e qualcuno tra di noi ha fatto, ma ho più volte girato al mattino scendendo da casa, a piedi, con un paio di guanti in lattice e una borsa per raccogliere i rifiuti lasciati tra le siepi e nelle aiuole da cittadini incivili, financo deiezioni dei cani. La differenza è che ho sempre agito facendo attenzione che non mi vedesse nessuno, perché non volevo che questo diventasse un modo per raccogliere facile consenso, non volevo farmi gridare "viva il Re" perché mi prendevo cura della mia città umilmente, con tutti i mezzi, non volevo rievocare quell'icona patetica - che i giovani non ricordano più - di quel salvatore della patria che si faceva ritrarre a torso nudo sulla trebbiatrice o con il piccone in mano nella costruenda via della Conciliazione... Abbiamo raccolto maldicenze, falsità e mistificazioni, calunnie e anche insulti, li abbiamo lasciati estinguere dentro: per contro, abbiamo seminato speranza e fiducia nel futuro, ricchezza di beni e bellezze di cui i cittadini di domani si accorgeranno e ne trarranno beneficio, anche se oggi faticano a convertire il loro sguardo.
Infine, rivendico uno stile di governo, un’idea di politica: più volte ho rigettato il costume di utilizzare l'io per rivolgermi a voi: preferisco la prima persona plurale perché la nostra visione politica è del noi e non del tu. Qualcuno ha affermato che una delle mie colpe è di avere lasciato troppa corda agli assessori: ho sostenuto tutti, uno per uno, ogni qualvolta mi manifestavano la necessità di avere un supporto, ma ho lasciato loro la libertà e lo spazio per esprimersi, ho fatto della collegialità un principio imprescindibile del lavoro amministrativo accollandomi le responsabilità di tutti, riconoscendo i meriti a ciascuno. Gli esperti di politica più scafati del sottoscritto che lamentano questa mancanza dovrebbero sapere che i tradimenti, nella storia, sono sempre il frutto di un mancato riconoscimento, di un’oppressione insopportabile, di un esondare d'ego del leader a svantaggio dei collaboratori. Anche per questo la squadra è rimasta coesa per cinque anni, dando un’immagine meno litigiosa di quella della politica da salotto televisivo o da altre assemblee non troppo distanti da noi.
Nel congedarmi definitivamente da questa assemblea, voglio infine rassicurare le persone che, anche qui dentro, non vedono l’ora che io mi dilegui definitivamente. Non passerò dal negotium all’otium, dunque non ho intenzione di vivere da straniero in città, come Aristotele invitava a fare ai filosofi suoi seguaci, e più in generale non potrò sentirmi estraneo alle questioni del mondo, perché il mondo è in noi e noi siamo una particella di mondo che, come ci insegna la fisica quantistica, trova corrispondenze e affinità con miliardi di altre particelle lontane migliaia di chilometri, distanti nel tempo. Mi dedicherò piuttosto a quello che Seneca chiamava Otium militante, indagando in modo più estensivo sulle ragioni del vivere comune oltre i confini della città, verso quella comunità universale che, direbbe un filosofo, riunisce uomini e dèi. Di certo non smetterò di occuparmi dell’ars politica, userò ancora la parola, più di quanto non abbia fatto durante la mia fase di negotium, soprattutto quando vedrò consumarsi delle ingiustizie e vedrò schiacciare i fragili che, badate, non sono solo quelli che mancano di mezzi economici e soffrono di isolamento sociale, ma, in questo momento storico, sono soprattutto quelli che si sentono forti per un’illusione collettiva, perché sono divenuti parte di una massa informe di asserviti ai prepotenti, a quelli che vendono illusioni, seguono le viscere fetide e turbolente dell’istinto animale e fomentano odio, godono del dolore altrui, inquinano le acque d’ogni contesto sociale pur di autoaffermarsi come potenti, alla faccia del bene comune.
Ringrazio voi tutti per questi cinque anni uno per uno, perché la politica è fatta di persone per le persone, ma spesso ce ne dimentichiamo: qualcuno lo ha fatto anche con me, ma non me ne curo, perché voliamo ad altezze differenti e dunque non riesco ad avvistarli…
I Tributi
1. Renato Favre
2. Paolo Laurencet
3. Cristina Dattola
4. Roberta Balbis
5. Eleonora Baccini
6. Giovanni Girardini
7. Sergio Togni
8. Sylvie Spirli
9. Bruno Giordano
1. Domenico Broglio, Laurent Dunoyer
2. Franco Proment
3. Roberto Favre
4. Giuliana Rosset
5. Pippo Varisella 6. Luca Tonino Presidente
7. Paolo Tripodi
8. Antonio Crea
9. Diego Foti Gianluca Del Vescovo
10. Luciano Boccazzi Serena Del Vecchio
11. Cecilia Lazzarotto
12. Sara Burghay
13. Sara Massa, Fabio Protasoni
1. Corrado Cometto
2. Loris Sartore
3. Titti Forcellati
4. Samuele Tedesco
5. Alina Sapinet
6. Josette Borre
Al segretario generale, nato per aiutare a risolvere problemi, a districare le matasse più annodate, a governare trecento persone con pacatezza e determinazione, sempre salvaguardando il più possibile, le relazioni umane.
Al mio capo di gabinetto per la sua pazienza, mitezza, efficienza e sensibilità umana, ma anche, inaspettatamente, politica.
Al Presidente di APS Matteo Fratini, mio indimenticato allievo di oltre trent’anni fa, che ha sanato un’azienda, ha riorganizzato il management interno ed efficientato la macchina organizzativa interna producendo risultati eccellenti;
La mia famiglia amatissima a mia madre. Auguro una buona vita a tutte e tutti voi e un buon lavoro a chiunque verrà dopo di me, auguri al sindaco che la città dimostrerà di meritare.












