Sessanta giorni. Tanto è bastato a Papa Leone XIV per decidere che era tempo di staccare. Il nuovo Pontefice, 267º della Chiesa cattolica, insediatosi l’8 maggio 2025, ieri è partito per due settimane di ferie a Castelgandolfo, nella storica residenza estiva dei papi, attrezzata ora con tutto ciò che serve per soddisfare le sue dichiarate passioni sportive.
Fin qui, tutto umano. La stanchezza non guarda al rango e forse nemmeno alla sacralità. Ma qualcosa stona. Anzi, stride. Perché lo stesso Leone XIV, nelle sue prime e incisive omelie, ha pronunciato parole di fuoco contro le guerre, ha parlato delle “mani insanguinate dell’indifferenza” e ha invocato un’“umanità più sobria, più fraterna, più vicina a chi soffre”.
Parole che, oggi, mentre il Papa prepara le valigie per godersi il meritato relax in un contesto benedetto da ogni comfort, sembrano galleggiare in una contraddizione piuttosto evidente. Mentre lui scende nel verde dei Castelli Romani, milioni di esseri umani – bambini, madri, padri, giovani e anziani – stanno scivolando ogni giorno più a fondo negli abissi della guerra, della fame e della sete. Non hanno bisogno di una pausa. Hanno bisogno di pace. E di acqua, di pane, di medicine, di speranza.
La domanda è semplice: non sarebbe bastata una pausa più discreta, più sobria, magari nei suoi appartamenti vaticani? Magari una scelta capace di dare il buon esempio, che parlasse più forte di mille dichiarazioni pubbliche? O, per dirla tutta, un gesto silenzioso e forte, in coerenza con la sobrietà evangelica invocata nei suoi primi atti?
Perché sì, anche i papi sono uomini. Ma sono anche – o dovrebbero essere – segni. E in un mondo dove i simboli contano, una residenza sportiva non è proprio il simbolo che consola chi vive sotto le bombe.
Certo, non si chiede al Papa di farsi martire della coerenza assoluta. Ma un po’ di attenzione simbolica, sì. Perché se la Chiesa vuole tornare a parlare davvero al mondo, se vuole essere credibile nei confronti di chi vive nel dolore, nel lutto e nella privazione, allora non può permettersi leggerezze che sembrano lusso.
Castelgandolfo non è un peccato. Ma, in questo momento, è una stonatura. E, per chi piange in silenzio davanti alla televisione, guardando le immagini di Gaza, di Kharkiv, del Sudan o di Rafah, è anche una ferita.
La verità è che la guerra ci riguarda tutti. E che anche il riposo, in tempi come questi, è una scelta politica. O spirituale. Dipende dal punto di vista. Ma resta una scelta.
E oggi, forse, si poteva scegliere meglio. Infatti, lo stesso Leone XIV, nei suoi primi interventi pubblici, ha parlato con forza contro la follia della guerra: “Le mani dell’uomo non servono per uccidere, ma per custodire e accogliere” ha detto nell’omelia del 1° giugno. Pochi giorni prima, nel messaggio per la Giornata mondiale per i rifugiati, aveva ammonito: “Chi ha scelto il Vangelo non può voltarsi dall’altra parte mentre i bambini muoiono sotto le bombe”.
Parole intense, potenti, rilanciate con grande enfasi dalla Sala Stampa Vaticana e rilavorate in ogni post sui canali ufficiali: Twitter/X, Instagram, YouTube. Una comunicazione moderna, attenta, che punta a presentare il Papa come “uomo del dialogo, della pace e della sobrietà” – così come ha dichiarato padre Matteo Spadaro, responsabile delle comunicazioni vaticane, nell’intervista rilasciata il 15 giugno a L’Osservatore Romano.
Ma allora, perché questo silenzio sul significato del viaggio a Castelgandolfo? Perché nessun segnale di discrezione?
Perché, mentre il Pontefice si prepara a una pausa tra comfort e sport, milioni di donne e uomini vivono nell’inferno della guerra, in case distrutte o sotto le tende, senza acqua né cibo, altro che “strutture sportive” – come con disinvoltura è stato scritto nei comunicati delle agenzie stampa ecclesiali.
Non si vuole negare a un papa il diritto al riposo. Ma, come ha ricordato proprio lui nel Regina Coeli del 25 maggio: “Chi guida la Chiesa deve sempre ricordare che il primo servizio è il farsi prossimo, non il mettersi comodi.”
Parole che oggi sembrano rimaste lì, tra i marmi del Vaticano e gli applausi in piazza San Pietro.
Siamo lontani dall’atteggiamento di Gesù nel Vangelo, che si ritira sì nel deserto (Mt 14,13), ma solo dopo aver sfamato le folle e consolato i malati. Oppure quando invita i discepoli a “venire in disparte, in un luogo solitario, e riposare un po’” (Mc 6,31), ma lo fa per dare respiro a chi ha donato tutto. La differenza non è nel riposo, ma nella discrezione.
Non sarebbe bastato rimanere in Vaticano? Non sarebbe stato un segnale di coerenza, un esempio di quella “sobrietà pastorale” che tanto si predica?
Anche perché, come il Papa stesso ha detto nell’omelia di Pentecoste: “Non basta parlare della croce, bisogna portarla.”
E oggi, mentre in Ucraina, in Medio Oriente, in Sudan, nelle guerre dimenticate e nei campi profughi del mondo si consuma la tragedia dei popoli, una pausa a Castelgandolfo, seppur legittima, ha un sapore stonato. Per molti, dolorosamente stonato.
In fondo, anche il riposo può essere un atto di testimonianza. Un’occasione per mostrare che davvero “la Chiesa è povera e per i poveri”, come ricordava Papa Francesco.
Leone XIV ha mostrato una forte energia nei suoi primi atti. Ora gli si chiede qualcosa di più difficile: coerenza silenziosa.
Perché oggi, chi prega, chi soffre, chi è costretto a fuggire, ha bisogno di un pastore che non solo parli di loro, ma viva – anche nel riposo – accanto a loro.
Guerre e ferie
Soixante jours. Il n’en a pas fallu plus à Léon XIV pour estimer qu’il était temps de souffler. Le nouveau Pontife, 267ᵉ pape de l’Église catholique, intronisé le 8 mai 2025, est parti hier pour deux semaines de vacances à Castel Gandolfo, dans la résidence d’été historique des papes, aujourd’hui équipée de tout le nécessaire pour satisfaire ses passions sportives déclarées.
Jusqu’ici, rien d’inhumain. La fatigue n’épargne ni les titres ni la sainteté. Mais quelque chose cloche. Ou plutôt, détonne.
Car ce même Léon XIV, dans ses premières homélies percutantes, a prononcé des paroles de feu contre la guerre, dénonçant « les mains ensanglantées de l’indifférence » et appelant à une « humanité plus sobre, plus fraternelle, plus proche de ceux qui souffrent ».
Des paroles qui, aujourd’hui, alors que le Pape fait ses valises pour profiter d’un repos bien mérité dans un cadre béni de tout confort, flottent dans une contradiction assez flagrante. Tandis qu’il descend vers la verdure des Castelli Romani, des millions d’êtres humains – enfants, mères, pères, jeunes et vieillards – s’enfoncent chaque jour davantage dans les abîmes de la guerre, de la faim et de la soif.
Ils n’ont pas besoin d’une pause.
Ils ont besoin de paix. Et d’eau, de pain, de médicaments, d’espérance.
La question est simple : une pause plus discrète, plus sobre, dans ses appartements du Vatican, n’aurait-elle pas suffi ? Peut-être un choix capable de donner l’exemple, plus éloquent que mille discours publics ? Ou, soyons clairs, un geste silencieux et fort, en cohérence avec la sobriété évangélique invoquée dès ses premiers actes ?
Car oui, les papes sont des hommes. Mais ils sont aussi – ou devraient être – des signes. Et dans un monde où les symboles comptent, une résidence sportive n’est pas vraiment le symbole qui console ceux qui vivent sous les bombes.
Bien sûr, il ne s’agit pas de demander au Pape d’être martyr d’une cohérence absolue. Mais un minimum de sens symbolique, oui.
Car si l’Église veut encore parler au monde, si elle veut être crédible auprès de ceux qui vivent dans la douleur, le deuil et la privation, alors elle ne peut pas se permettre de légèretés qui ressemblent à du luxe.
Castel Gandolfo n’est pas un péché. Mais en ce moment, c’est une dissonance. Et pour ceux qui pleurent en silence devant leur télévision, en regardant les images de Gaza, de Kharkiv, du Soudan ou de Rafah, c’est aussi une blessure.
La vérité, c’est que la guerre nous concerne tous. Et que même le repos, en ces temps, est un choix politique. Ou spirituel. Cela dépend du point de vue. Mais cela reste un choix.
Et aujourd’hui, peut-être, on pouvait choisir autrement.
D’autant que Léon XIV lui-même, dans ses premiers discours publics, s’est exprimé avec force contre la folie de la guerre : « Les mains de l’homme ne sont pas faites pour tuer, mais pour protéger et accueillir », a-t-il déclaré dans son homélie du 1er juin.
Quelques jours plus tôt, dans son message pour la Journée mondiale des réfugiés, il avait averti : « Celui qui a choisi l’Évangile ne peut détourner le regard pendant que des enfants meurent sous les bombes. »
Des paroles fortes, puissantes, reprises avec emphase par la Salle de presse du Vatican et relayées dans chaque publication sur les canaux officiels : Twitter/X, Instagram, YouTube. Une communication moderne, soignée, qui vise à présenter le Pape comme « un homme de dialogue, de paix et de sobriété » – selon les mots du père Matteo Spadaro, responsable de la communication vaticane, dans une interview accordée le 15 juin à L’Osservatore Romano.
Mais alors, pourquoi ce silence sur le sens de ce voyage à Castel Gandolfo ? Pourquoi aucun signe de discrétion ?
Pourquoi, pendant que le Pontife se prépare à une pause faite de confort et de sport, des millions de femmes et d’hommes vivent l’enfer de la guerre, dans des maisons détruites ou sous des tentes, sans eau ni nourriture – bien loin des « structures sportives » mentionnées avec légèreté dans les communiqués des agences de presse ecclésiales ?
Il ne s’agit pas de nier au Pape le droit au repos.
Mais, comme il l’a lui-même rappelé lors du Regina Cæli du 25 mai : « Celui qui guide l’Église doit toujours se souvenir que le premier service est de se faire proche, pas de se mettre à l’aise. »
Des paroles qui semblent aujourd’hui rester figées entre les marbres du Vatican et les applaudissements de la place Saint-Pierre.
Nous sommes loin de l’attitude de Jésus dans l’Évangile, qui se retire certes au désert (Mt 14,13), mais seulement après avoir nourri les foules et guéri les malades. Ou encore lorsqu’il invite ses disciples à « venir à l’écart, dans un lieu désert, et se reposer un peu » (Mc 6,31), mais c’est pour donner du souffle à ceux qui ont tout donné. La différence ne tient pas au repos, mais à la discrétion.
Rester au Vatican n’aurait-il pas suffi ?
N’aurait-ce pas été un signe de cohérence, un exemple de cette « sobriété pastorale » si souvent prêchée ?
D’autant que, comme le Pape lui-même l’a dit dans l’homélie de Pentecôte : « Il ne suffit pas de parler de la croix, il faut la porter. »
Et aujourd’hui, tandis qu’en Ukraine, au Moyen-Orient, au Soudan, dans les guerres oubliées et les camps de réfugiés se consomme la tragédie des peuples, une pause à Castel Gandolfo, bien que légitime, a un goût amer. Pour beaucoup, douloureusement amer.
Au fond, même le repos peut être un acte de témoignage. Une occasion de montrer que « l’Église est pauvre et pour les pauvres », comme le rappelait le pape François.
Léon XIV a montré une grande énergie dans ses premiers gestes.
Désormais, il lui est demandé quelque chose de plus difficile : la cohérence silencieuse.
Car aujourd’hui, ceux qui prient, qui souffrent, qui fuient, ont besoin d’un pasteur qui non seulement parle d’eux, mais qui vive – même dans le repos – à leurs côtés.




