Sembra un menù degustazione della politica valdostana, con portate servite in ordine sparso e ingredienti difficili da abbinare. Nella Petite Patrie oggi, 26 giugno 2025 d.c., è andato in scena uno strano mix di annunci, addii, intese mancate e ipotesi impossibili. Tutto nel giro di qualche ora, tutto in perfetto stile valdostano: senza fretta, ma con una certa tendenza al pasticcio.
Partiamo dal piatto forte del giorno: la presentazione dell’accordo tra Union Valdôtaine e Autonomisti di centro (Stella Alpina, Rassemblement Valdôtain e Pour l’Autonomie) in vista delle comunali. Un’intesa che, almeno sulla carta, promette “una rinnovata spinta allo sviluppo urbano” e una “fase politica nuova”. Tutto bello, tutto solenne. Ma qualcuno – con ragione – si chiede:
perché questa magia dell’unità autonomista non è avvenuta anche a livello regionale, dove i medesimi attori siedono nella stessa maggioranza?
Forse lì le “criticità” sono ancora più imbarazzanti da raccontare. E forse, più che un progetto per la città, qui si tenta un progetto per ripartire… da sé.
Joel Farcoz, presidente dell’Union, cerca di dare forma alla visione: “Perché non immaginare un accordo anche con Pd e Forza Italia?” chiede retoricamente. Perché no, in effetti, se a Roma vanno d’amore e d’accordo pure Salvini e Schlein sul premierato.
Ma attenzione: se tutto è compatibile, nulla è più coerente.
Nel frattempo, proprio mentre gli autonomisti spiegavano come salvare Aosta dalle sue “fragilità strutturali”, è arrivata la bomba gentile del sindaco Gianni Nuti, che con un video – a metà tra una lettera d’addio e un brano unplugged – annuncia che non si ricandiderà.
“Abbiamo dato un’impronta alla città dalla quale non si può tornare indietro”, dice, evocando piste ciclabili da non arrotolare e quartieri in fiore che cresceranno da soli come i tulipani a marzo. Un addio poetico e un po’ amaro, soprattutto perché Nuti confessa di non essere nemmeno stato informato dell’accordo tra UV e autonomisti. Più che un congedo, un congedamento?
E mentre a sinistra qualcuno piange (o forse tira un sospiro di sollievo), Elio Riccarand coglie l’attimo e rilancia: “Coalizione unita a sinistra, con Pd, M5s, Avs, Rete Civica, VdA Aperta, Schlein, Conte, Fratoianni e magari anche Sandro Pertini se fosse ancora tra noi!”.
Angelo Bonelli annuisce, promette consultazioni nazionali e attacca Giorgia Meloni sulle spese militari, con il piglio dell’ambientalista indignato che intanto fa campagna elettorale nel cuore delle Alpi.
Insomma, il quadro è chiaro: il centro si allarga, la sinistra si raduna, e il sindaco se ne va, lasciando in eredità ciclabili e malinconia.
Ma la domanda vera – quella che nessuno oggi ha il coraggio di porre davvero – è: cosa ne pensa la cittadinanza di questa politica fatta più di trame che di dedizione?
Perché se è vero che Aosta è un laboratorio politico, allora urge un nuovo esperimento: trasformare gli annunci in progetti, le alleanze in visione, i candidati in persone credibili.
Nel frattempo, la città guarda, ascolta e si prepara a votare. Magari fioriranno anche i quartieri. Ma speriamo che prima fiorisca il buon senso.