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Camminar pensando | 04 marzo 2023, 16:00

C’E’TORMENTA IN MONTAGNA

QUINTA PARTE - Viviamo in un’epoca dove tutto sembra doverci essere suggerito, proposto, propinato e dove l’autonoma capacità di cercare, di saper cercare, è diventata una qualità sempre più rara

L’azzurra bellezza (ph. Mauro Carlesso)

L’azzurra bellezza (ph. Mauro Carlesso)

Negli anni della mia prima giovinezza ho sostato spesso, solo, sulle alte montagne, e il mio occhio indugiava a lungo nella lontananza, nella vaporosa foschia trasfigurante delle ultime delicate alture, dietro alle quali il mondo affondava in un’infinita azzurra bellezza. Hermann Hesse

Era questo il sentimento che permeava lo scrittore tedesco che amava la vita, la natura ed i monti sui quali spesso si aggirava solitario e meditabondo. Alla luce della nostra contemporaneità questo atteggiamento verso la natura montuosa così schivo, riflessivo ed introspettivo sembra suonare fuori del tempo, quasi paradossale.

Viviamo in un’epoca dove tutto sembra doverci essere suggerito, proposto, propinato e dove l’autonoma capacità di cercare, di saper cercare, è diventata una qualità sempre più rara.

Piano piano l’accondiscendenza alla nostra società pervasa di piacevoli comodità rischia di trasformarsi in una sorta di pericolosa abitudine alla normalità come ci racconta anche Michel Houellebecq nel suo romanzo “Sottomissione”.

Cullati in questa piacevole dipendenza smettiamo di cercare e ci abituiamo con sorprendente facilità e dolcezza a sopportare questa passività. Siamo sempre più predisposti ad approfittare del comfort del nostro habitat capace di soddisfare puntualmente tutti i nostri bisogni (sempre più indotti) finendo per apprezzare tutto questo come una normalità necessaria, dalla quale facciamo fatica a distaccarcene.

Ed è così che negli ultimi anni si è sviluppato un veloce processo di demolizione del romanticismo dei camminatori del secolo scorso, di alleggerimento della spinta motivazionale verso la ricerca e di allontanamento dalla serenità contemplativa della montagna lasciando che su quest’ultima si addensassero quelle nuvole minacciose che preludono ad una tormenta. Una tormenta strana perché anziché scaricare pioggia e neve, lampi e tuoni scarica abitudini: le stesse abitudini che ci confortano a casa, in città, al lavoro, in famiglia e tra gli amici.

Ed è con questa moderna predisposizione d’animo che azioni, comportamenti e attività che si sono sempre svolte naturalmente e liberamente ovunque e da chiunque, diventano oggi normali attività di tendenza e, perché no, di profitto.

Per il nostro benessere psico-fisico, versando un contributo economico, possiamo andare nei boschi ad abbracciare gli alberi per immergerci in un bath forest o fare passeggiate all’alba facendo foraging. E anche andar per funghi non è più così semplice, istintivo ed emotivo: oggi una specifica applicazione sul nostro Smartphone ci consente di individuare quale territorio è più idoneo alla raccolta dei funghi in quel determinato periodo depredandoci della nostra esperienza sul campo suggerendoci di ubbidire ad un’applicazione. E a proposito di funghi c’è anche chi si preoccupa di farci vivere l’esperienza della “caccia al porcino” con tanto di briefing con i fungiatt e successiva degustazione (a pagamento) del bottino a cura di chef sempre più stellati.

Ed anche quella spettacolare trasformazione di colori che i boschi regalano da sempre in autunno incantando l’uomo fin da bambino si è trasformato in un evento imperdibile: il foliage, con ridicole ed incomprensibili “visite guidate” (a pagamento).

C’è poi chi si preoccupa del nostro divertimento in mezzo alla natura organizzando dei circuiti di Orienteering nei boschi da percorrere seguendo le indicazioni dell’ennesima applicazione da scaricare sul nostro inseparabile dispositivo. Insomma quelle abitudini istintuali dell'uomo come il benessere di starsene in mezzo ad un bosco, raccogliere erbe, piante, funghi per diletto, per nutrirsi o curarsi oggi si sono evolute in "pacchetti di turismo esperienziale e multisensoriale" per esseri umani, evidentemente, dall’istinto sterilizzato.

La pista ciclabile dell’Alpe di Mera in Valsesia (ph. Mauro Carlesso)

E ce n’è per tutti i gusti.

A seconda della quantità di emozioni che si vogliono provare ci si può rivolgere a temerari del web che vendono pacchetti adrenalinici facendoci volare in una delle fiorenti zip line o aggrappare a qualcuna delle ferrate di ultima generazione.

Certo viviamo ancora in una società libera ed ognuno ha il diritto di provare le emozioni che desidera, ed in questo non c’è nulla da eccepire salvo ricordare che la montagna è già di per sé stessa un’emozione: quasi l’emozione per antonomasia.

Perché deturparla con azioni e strutture invasive che ne minano l’alterità e la maestosità? Perché ridurla a patetica giostra consumistica? Perché piegarla al servizio delle nostre inadeguatezze sociali?

E di questa incomprensibile giostra se ne ha contezza in occasione dei contest, come ad esempio, saltare con gli sci vestiti in maniera folkloristica mentre il candore silente delle vette è ammorbato dalla musica assordante dell’immancabile DJ set. La domanda è ancora una volta perché? Non è tormenta questa? Perché straziare le montagne con una musica ad alto volume o anche con quella più soft dei modaioli ed un po' snob concerti di “musica in quota”? Suonare musica in montagna che sia pop o classica è sempre un rumore molesto, innaturale ed irrispettoso: per la musica ci sono le arene, gli stadi, i teatri.

Orientering nei boschi di Sesto Calende -VA- (ph. Mauro Carlesso)

E tralasciando l’ormai sempre più vorace e devastante impatto di uno sci di pista che sta dichiarando anno dopo anno il proprio anacronismo, si può ancora parlare di montagna se arrivando con l’automobile ad oltre mille metri d’altezza circondati da boschi e vette acuminate ci si imbatte in un campo di beach volley con tanto di sabbia come fossimo in riva al mare?

Possiamo ancora parlare di montagna quando un alpinista fatica a pernottare in un rifugio che fa il tutto esaurito con i villeggianti che salgono fin lì per degustare le prelibatezze gourmet, o per partecipare ad eventi raffinati denominati “chef in quota”?

Si può ancora parlare di montagna quando sulla vetta ci si imbatte in parchi avventura o in diavolerie che ricalcano le montagne russe delle fiere strapaesane?

Si può ancora parlare di montagna quando ci si imbatte nei tracciati dei chilometri verticali o di sky runner?

Si possono ancora chiamare montagne quelle vette che immote per millenni vengono profanate da simboli luminosi e visibili a chilometri di distanza?

E possiamo ancora parlare di montagna quando ci ritroviamo ad attraversare i tracciati delle devastanti piste ciclabili o dei circuiti di downhill? Inquieta pensare che proprio su questi progetti di “ciclo alpinismo” si aprono scenari economici importanti benedetti dal lasciapassare della sostenibilità in quanto dedicati alle e-bike.

“Sostenibilità. Una parola che infiocchetta qualsiasi presentazione mediatica di progetti di manomissione dell’ambiente, del suolo, dell’acqua, dell’aria. Quando si parla di infrastrutture e di interventi antropici che alterano la natura e i suoi equilibri la “manomissione” e l’uso fraudolento e improprio del significato etimologico delle parole e della loro intrinseca aderenza alla realtà dell’ambiente si trasformano in notizie false che alimentano un racconto deviato e altrettanto falso.” (Dante Schiavon)

E che dire di tutte le nuove pratiche esperienziali a pagamento come lo yoga alpinismo o il free climbing sugli alberi dei parchi cittadini? E cosa ce ne facciamo del proliferare dei ponti tibetani (con le amministrazioni locali che fanno a gara per costruirne il più lungo!) e delle orrende big bench posate in alcuni casi con l’elicottero ed accolte trionfalmente dalla banda del paese?

Quando tale moda consumistica dei ponti e delle panchine sarà passata è fin troppo facile immaginare che in quei luoghi ora tanto agognati, non resteranno che ruderi di cemento, metallo, legno che la natura provvederà prontamente ad avvolgere nascondendo ai posteri quei monumenti della stoltezza umana.

Cercar la via tra le pietre del Klein Furkahorn (ph. Mauro Carlesso)

Quante volte camminando in montagna ebbri di emozioni ci siamo trovati coinvolti in una tormenta. È una prova dura con la quale la montagna ci ricorda chi siamo. Ci riconduce ai ruoli che spettano a lei, sovrana di un regno millenario e che spetta a noi uomini, comprimari assai più recenti e modesti del suo regno, rispettarla, conservarla e frequentarla per ciò che la montagna è e non per ciò che noi vorremmo che fosse.

Mauro Carlesso Scrittore e camminatore vegan

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