Bagnère de Luchon è un piccolo paese di montagna, nel cuore “des Hauts Pyrénées”, oggi affermata stazione termale. Embè direte voi, cosa c’entra tutto questo con “Montagnes Valdôtaines”? Se avete un po' di pazienza e voglia di leggere ve lo racconto. Premetto che questo mio breve sunto è frutto della lettura del libro “Montanari, razza fiera” di Marco Gentile che mi è stato recentemente regalato dal mio amico Marco Murachelli.
Nel 1831 giunse a Bagnères – de - Bigorre paesino sperduto del dipartimento degli Alti Pirenei, al confine con la Spagna, un giovane, un nuovo ufficiale del Registro, tale Alfred Rolland. Nato a Parigi nel 1797 figlio di un alto funzionario dello Stato, dopo aver già ricoperto cariche analoghe nell’ambito della pubblica amministrazione, aveva chiesto di essere trasferito appositamente in un paese di montagna per curarsi di una seria patologia polmonare.
Oltre ad avere studi economici alle spalle era anche un valente musicista diplomato in violino al conservatorio. Si innamorò immediatamente del paese e dei suoi abitanti e dopo neppure un anno di permanenza, grazie anche ad un netto miglioramento delle sue condizioni di salute poté dare libero sfogo alla sua passione musicale costituendo una modesta scuola di musica e di canto corale che egli battezzò, un po' pomposamente” Le “Conservatoire de Bagnères”.
Il fascino ed il carisma non gli facevano difetto, tanto da diventare in breve, un riferimento fondamentale in un contesto composto da contadini montanari dediti essenzialmente ad una agricoltura arcaica e di pura sopravvivenza. L’entusiasmo suscitato da questa iniziativa fu enorme, grazie al suo costante impegno ed alla sua innata predisposizione per la musica che seppe trasmettere ai tanti che accorrevano al suo richiamo. Con il passare del tempo, deciso a rompere sia con la propria famiglia che con l’amministrazione francese decise che era giunto il momento di abbandonare una consolidata sicurezza economica e sociale per dare libero sfogo alla propria passione.
Sull’esempio dei “trouveurs”, musicanti itineranti, che avevano caratterizzato il sud della Francia intorno all’anno mille, progettò un’iniziativa folle, almeno per il contesto sociale, culturale e storico in cui fu immaginata. Riuscì a mettere insieme quaranta cantori di cui 15 minorenni ed a convincerli a seguirlo, diremmo oggi in una tournée, tra le varie corti politiche europee.
Le possibilità di viaggiare all’epoca erano piuttosto limitate, i mezzi di trasporto ad esclusiva trazione animale costosissimi, le comunicazioni inesistenti. Nessun ostacolo riuscì a fermarlo, al prezzo di 3.000 franchi, interamente finanziato da lui, acquistò un Omnibus, una specie di autobus dell’epoca, trainato da sei cavalli con cui intendeva realizzare il suo sogno. Il tutto però non era ancora sufficiente per cui dovette dotarsi di un paio di carrozze per il trasporto dei bagagli ed un “Phoeuton Tabatière”, un calesse agile e veloce che, condotto da tre componenti del gruppo, avrebbe dovuto precederli per predisporre l’accoglienza e la sistemazione del numeroso sodalizio e concordare i concerti con chiunque fosse interessato alle loro esibizioni. Il 18 aprile 1838, con tutta la comitiva e alla presenza dell’intero paese partì per questa lunga e faticosa avventura. Non era stato difficile convincere questi montanari considerato che non avevano nulla da perdere, poveri erano e nella peggiore delle ipotesi, poveri sarebbero rimasti. Inoltre quasi tutti non erano mai usciti dagli angusti confini del loro paese e la curiosità di vedere “com’è fatto il mondo” prevaleva sulle tante incognite, le titubanze e le immancabili nostalgie. Aveva predisposto un severo regolamento, sottoscritto da tutti, in cui si attribuiva ogni potestà, regole comportamentali ferree, sia in occasione dei vari concerti, sia durante i lunghi periodi di viaggio e di vita in comune. Dopo tanto girovagare, varie vicissitudini, concerti eseguiti in ogni paese visitato, accolti alla corte di quasi tutte le case regnanti europee entusiaste nell’apprezzare le qualità musicali del complesso, giunse nel 1842 a Torino, proprio in occasione del matrimonio del Re Vittorio Emanuele II di Savoia con la Regina Maria Adelaide d’Austria.
Qui si fermò per qualche tempo e prese in considerazione l’eventualità di dirigersi verso Aosta, per poi proseguire tramite il Passo de Gran San Bernardo verso la Svizzera e altri paesi Europei. Senonché il Phaeton Tabatière inviato in avanscoperta ebbe un grave incidente, proprio in Valle d’Aosta, per la rottura di un’asse. Il cocchiere venne soccorso da un valdostano di Nus, il castellano Jean Laurent Chamois, che al momento dello schianto stava effettuando dei trattamenti ai vigneti, nei terrazzamenti inferiori al maniero. Il malcapitato, dopo le prime cure, poté rientrare in gruppo, lasciando alla famiglia di questi, il mezzo incidentato con cui era giunto in Valle. Purtroppo la nostra “petite patrie” rimase ai margini di questa meravigliosa cavalcata sulle strade d’Europa da parte di un gruppo di folli girovaghi. Il legame, inscindibile, tra Alfred Rolland e la Valle d’Aosta doveva concretizzarsi però, solo anni più tardi per l’esattezza nel 1845 e nella città di Marsiglia dove i “Montagnards” erano giunti dopo un lento, ma continuo girovagare.
Nel corso di questi anni avevano avuto solo qualche defezione da parte di alcuni componenti: chi vinto dalla nostalgia era ritornato a casa, chi si era dimostrato insofferente alla rigida disciplina pretesa dal Rolland, chi per motivi di salute. Il gruppo dei quaranta si era però sempre potuto ricostituire intorno al nocciolo originario, con l’accoglimento di qualche elemento incontrato in questo loro continuo peregrinare o da qualche nuovo elemento giunto da “Bagnères”. Bisogna dire però che i contatti con il paese di origine erano limitati a comunicazioni piuttosto stringate e saltuarie, tanto che ci fu qualche parente di “Chanteurs” che si rivolse alle forze dell’ordine per avere notizia sul conto dei loro cari praticamente scomparsi nel nulla.
Marsiglia. Qui il gruppo, impegnato in una serie di esibizioni prese alloggio presso l’Hotel Royal, dove soggiornò per un breve periodo. La sera dopo il consueto concerto e dopo aver consumato una lauta cena, condita da ottime libagioni, erano usi dar libero sfogo alla loro passione intonando canti del loro vastissimo repertorio. Rolland notò che seminascosto, all’ingresso della cucina un giovane pallido, sciupato, con un abbigliamento da lavapiatti, unto e bisunto stava attentamente ascoltando le loro canzoni con le lacrime agli occhi.
Malgrado le resistenze del ragazzo a cui, causa il ruolo ricoperto, non era permesso di avvicinarsi ai commensali, Rolland riuscì a coinvolgerlo e a farlo sedere al loro tavolo. Volle sapere la provenienza. “Valle d’Aosta” fu la timida risposta di costui. Al termine della serata, preso il coraggio a due mani il ragazzo ebbe l’ardire di chiedere a Rolland se gli avesse concesso la possibilità di copiare la musica di “Montagnes Pyrénées” che lo aveva particolarmente colpito. Nella notte, alla luce di una pallida candela questo giovane, in un periodo in cui non esistevano fotocopiatori riportò, su fogli di carta ricavati dai sacchi di farina, la musica che lo aveva appassionato, tracciando le righe dello spartito con il dorso del suo pettine.
Questo ragazzo, originario di Saint Nicolas si chiamava Jean Baptiste Cerlogne. Figlio di un veterano napoleonico che si guadagnava da vivere svolgendo le mansioni di maestro nella scuola del suo paese, dall’età di cinque anni aveva passato le estati in qualità di “Cit” negli alpeggi della zona. A undici anni era stato affidato ad un “maitre ramoneur”, cosa frequente ai quei tempi dominati dalla miseria più nera, che lo aveva condotto in Francia dove era stato adibito alle pulizie dei camini in varie città del midi rancese. Tornato al paese natio per portare a casa i magri guadagni racimolati era ripartito per cercare un’occupazione meno gravosa e pesante, trovando lavoro presso alcuni alberghi.
Il destino volle, che al passaggio dei “Chanteurs Montagnards” si trovasse proprio a lavorare nell’albergo che ospitava la comitiva. Ritornato in patria con lo spartito gelosamente conservato e con il supporto della poetessa Letizia Porté, meglio conosciuta con lo pseudonimo di “Soeur Scholastique” aveva provveduto ad adattare il testo alla realtà valdostana. Nel 1912, per la prima volta il testo riveduto ed adattato veniva pubblicato sul primo “Chansonnier” pubblicato dalla Ligue Valdôtaine. Non immaginava neppure lontanamente, il nostro abate, oramai anziano, che questo sarebbe diventato, negli anni successivi, l’inno nazionale della nostra “Petite Patrie”.
Gli attacchi all’uso della lingua francese, a fine ottocento, e la violenta repressione del ventennio hanno contribuito a rendere questo canto un vero e proprio manifesto dell’autonomismo valdostano. L’abate Jean Baptiste Cerlogne dopo una serie di lunghe e non sempre facili vicissitudini è diventato il nostro “Fèlibre” per eccellenza.
Egli ha saputo valorizzare la nostra parlata, il “patois” francoprovenzale ed innalzarla al rango di una vera e propria lingua degna di essere conservata, studiata diffusa malgrado il veloce incedere dei tempi
Dei “Chanteurs montagnards” si sa che continuarono il loro vagabondaggio giungendo fino nel lontano Egitto ed in Terrasanta, per arrivare a Costantinopoli il 25 Maggio 1846. Il “Phoeuton Tabatière”, venne dimenticato in un ricovero di proprietà della famiglia di Laurent Chamois e ritrovato e riconosciuto solo molto tempo dopo.
Questo racconto che ho cercato di sintetizzare al massimo, mi porterebbe a fare una serie di riflessioni, sull’incoscienza umana, sulla passione che tutto travolge, sulle caratteristiche tipiche della gente di montagna, sull’umiltà di chi, pur misero e povero ha dato prova di lungimiranza e genialità, ma andrei troppo lontano.
Voglio solo affermare che non ritengo affatto sminuente il fatto che il nostro inno derivi da un canto pirenaico, sono, siamo gente di montagna, con tutti i nostri difetti, i nostri limiti, ma anche con qualche particolare virtù che troppo spesso sottovalutiamo. Come sarebbe bello che un comune della nostra regione, Saint Nicolas sarebbe il massimo, proponesse un gemellaggio con “Bagnéres de Luchon”.
Un incontro tra fratelli, accomunati dalle stesse modeste origini montanare, fieri di condividere un canto che vuole solo celebrare l’amore per un luogo del cuore quello che noi comunemente, chiamiamo “Petite Patrie”.
Se avete un minimo di dimestichezza con la rete, smanettando su Google potrete trovare “ Montagnes Pyrénées “nella versione originale, ma soprattutto vi consiglio di leggere il libro, sono certo che non vi annoierà...
Guido P. Cesal













