Antonio Raso, titolare della pizzeria 'La Rotonda' di Aosta, in carcere dal 23 gennaio 2019 e condannato a 12 anni di carcere nell'ambito del processo Geenna su una presunta 'ndrina aostana, non ha mai fatto mistero di essere stato lui a far incontrare nei primi mesi del 2015 Gerardo Cuomo - titolare del Caseificio Valdostano arrestato il 31 gennaio 2017 insieme all'allora capo della Procura aostana Pasquale Longarini - con Giuseppe Nirta, commerciante agrario ma soprattutto pregiudicato 'ndranghetista assassinato in Spagna.
"Cuomo voleva comprare dell'olio di buona qualità e Nirta si era proposto - ha sempre affermato Raso - io li feci incontrare ma per quanto ne so dell'operazione commerciale non se ne fece nulla. Discorsi di 'ndrangheta non ne sono nemmeno stati sfiorati, almeno certamente non in mia presenza...".
Le affermazioni di Raso già emerse nella carte di Geenna trovano ulteriore riscontro nelle 45 pagine delle motivazioni della sentenza di assoluzione emessa dalla Seconda sezione penale della Corte di Appello di Milano per l'ex pm aostano Pasquale Longarini (oggi giudice a Imperia), per lo stesso imprenditore alimentare Gerardo Cuomo e per l'albergatore e commerciante di Aosta Sergio Barathier.
Vicenda nota: erano accusati di induzione indebita a dare e promettere utilità e, solo Longarini, rivelazione di segreto d'ufficio e favoreggiamento. Assolti tutti e tre in primo grado nel 2019, la procura generale (pm Fabio Napoleone) era ricorsa in Appello chiedendo di ribaltare la sentenza e di confermare le condanne chieste ovvero tre anni di carcere per Longarini, due per Cuomo e due mesi per Barathier. Il 5 novembre scorso i giudici meneghini Piero Gamacchio, Maurizio Boselli e Maria Rosaria Rinaldi avevano invece pronunciato una seconda sentenza di assoluzione che suona come pietra tombale del procedimento.
Oggi sono state depositate le motivazioni a quella sentenza e nelle 45 pagine si ripercorre anche la vicenda 'Raso-Cuomo-Nirta' che nel procedimento rappresentava certamente l'accusa più grave per Longarini. L'ex pm era stato accusato (l'inchiesta della Guardia di finanza milanese avviata nel 2016 su segnalazione dell'allora comandante dei Carabinieri della Valle d'Aosta Samuele Sighinolfi era stata coordinata dai pm Polizzi e Pellicano) di avere aiutato Cuomo, nell'aprile 2015, "ad eludere le investigazioni condotte dalla Dda di Torino" in un "procedimento penale" in "materia di criminalità organizzata, rivelandogli" di essere sottoposto a intercettazioni telefoniche. Per questo motivo, l'imprenditore avrebbe interrotto le conversazioni con il boss Giuseppe Nirta. Il procedimento in questione è l'inchiesta 'Geenna' coordinata dal pm della Dda di Torino Stefano Castellani.
E proprio Castellani, come si apprende dalle motivazioni, ai colleghi di Milano nel corso delle indagini su Longarini aveva precisato, si legge, "che Cuomo era stato intercettato al solo fine di capire le ragioni degli incontri e dei contatti con Nirta, il che significava che per gli operanti il contenuto intrinseco delle sue conversazioni era irrilevante. Non solo: l'interruzione dei rapporti tra Cuomo e Nirta, lungi dall'essere ingiustificata, era assolutamente motivata sul piano commerciale. Castellani aveva anche confermato che Cuomo e Nirta si erano effettivamente incontrati nella pizzeria di Antonio Raso e che le affermazioni del titolare del Caseificio Valdostano di essere stato consigliato da un amico a 'stare lontano' da Nirta erano assolutamente generiche e riferite a più persone mai identificate.
Sentito come persona al corrente dei fatti dalla Dda che indagava su Nirta, lo stesso Cuomo spiegò di essere stato truffato da Nirta: "Ci accordammo per una fornitura", la prima e unica, "di 7.000 euro, che pagai con bonifico, con pagamento anticipato, ma ricevetti la metà del valore della merce concordata"; da lì iniziarono problemi che, secondo quanto da lui affermato e ritenuto attendibile dai giudici di Appello, indussero l'imprenditore valdostano a interrompere i rapporti.
Quanto al reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, contestato a Longarini per aver indicato all'albergatore Barathier (che era da lui indagato per reati fiscali) di acquistare prodotti dell'azienda di Cuomo, per i giudici di appello "non era individuabile alcun abuso dei poteri da parte di Longarini in quanto questi si era limitato a segnalare la professionalità e la qualità dei prodotti del Caseificio Valdostano, non facendo affatto leva sui poteri che gli derivavano dalla propria posizione istituzionale". Longarini "infatti, agiva soltanto in ragione dei suoi rapporti di amicizia con Coriasco (direttore dell'Hotel Royal di proprietà di Barathier ndr)".