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CRONACA | 05 giugno 2020, 05:00

Per l'omicidio di Giuseppe Nirta accusata e arrestata in Spagna la sua compagna romena

Cristina Elena Toma si trova da tempo in carcere, accusata di concorso nell'omicidio. Della morte del boss calabrese del narcotraffico si è parlato anche ieri durante il processo Geenna al Tribunale di Aosta ma solo in relazione ai possibili risvolti in Italia

Giuseppe Nirta e Cristina Elena T

Giuseppe Nirta e Cristina Elena T

Nel processo Geenna in corso al Tribunale di Aosta sulle presunte attività illecite di una 'locale' di 'ndrangheta in Valle d'Aosta ha trovato spazio, tra le tante derivazioni della complessa indagine, anche l'omicidio del pregiudicato e commerciante 52enne Giuseppe Nirta, originario di San Luca (Reggio Calabria) e vissuto diversi anni in Valle d'Aosta. Nirta è stato assassinato  nel giugno 2017 in Spagna, nella cittadina murciana di Aguilas, dove abitava con la compagna romena Cristina Elena Toma.

Ieri, testimone di fronte al collegio giudicante presieduto da Eugenio Gramola è stato un colonnello dei carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale-ROS di Torino, a parlare del traffico internazionale di droga tra Spagna e Piemonte, oggetto principale dell'altro 'processo Geenna' che si svolge a Torino in rito abbreviato con 11 imputati (sentenza attesa l'11 giugno) tra i quali Bruno Nirta, fratello di Giuseppe. Bruno è il pregiudicato la cui presenza in Valle d'Aosta nel 2014 fu notata dai carabinieri, che diedero così il via ai primi accertamenti dell'inchiesta Geenna.  Il convincimento dei carabinieri del Ros è che i fratelli Bruno e Giuseppe Nirta e i fratelli Marco Fabrizio e Alex Di Donato (anch'essi imputati a Torino) avessero intrapreso un traffico di stupefacenti. Il colonnello ha ricordato brevemente che i fratelli Di Donato come i Nirta erano già comparsi nell'inchiesta Minotauro sulle infiltrazioni della 'ndrangheta in Piemonte ma poi si è soffermato a lungo sull'omicidio avvenuto in Spagna.

Indagini serrate su un delitto efferato

Due mesi prima della sua morte, Giuseppe Nirta aveva viaggiato dalla penisola iberica alla Calabria da dove era salito a Torino per incontrarsi tra gli altri con l'avvocato Carlo Romeo (imputato nella Geenna torinese). Nel mese di aprile 2017 i carabinieri lo seguono passo passo sino alla frontiera di Ventimiglia da dove rientrò nella Murcia. Dopo meno di 60 giorni sarà ucciso a colpi di pistola e coltellate, ha ricordato in aula il colonnello del Ros. Un omicidio brutale che ha fatto chiedere al giudice Gramola se la modalità avesse qualche significato particolare; l'ufficiale dell'Arma ha risposto che l'accoltellamento ha una valenza particolarmente intima in un omicidio e che potrebbe essere stato un segnale diretto al fratello Bruno, che effettivamente dopo l'assassinio aveva fatto perdere le proprie tracce restando nascosto per mesi.

La Guardia Civil di Aguilas aveva avviato le proprie indagini coordinandosi anche con i carabinieri italiani che di Nirta conoscono vita, miracoli e misfatti. Giuseppe è un 'boss' del narcotraffico, nella mafia siciliana lo chiamerebbero 'padrino'. Aveva nemici nelle cosche ma anche tra malviventi non necessariamente contigui alla 'ndrangheta o ad altre associazioni criminali. Vennero individuati alcuni sospettati, perquisite le loro abitazioni: in una di queste la polizia spagnola trova un'arma ma incompatibile con quella utilizzata per il delitto. Giuliano Velo, un pregiudicato italiano originario del Veneto ma da 30 anni in Spagna, che potrebbe aver avuto attriti con Nirta, era in licenza premio proprio il giorno dell'omicidio; quando la Guardia Civil avviò indagini nei suoi confronti lui fuggì e venne poi arrestato in Albania, giudicato e condannato per evasione. Ma per l'omicidio di 'El Italiano' - così chiamavano Nirta nel milieu spagnolo - non ci sono indizi e l'accusa non gli è stata nemmeno contestata. 

Colpo di scena, una presunta colpevole c'è

Quello che però non viene detto durante il processo Geenna (dedicato alle attività della 'ndrina in Valle piuttosto che a risolvere omicidi all'estero) è che da tempo la Guardia Civil di Aguilas per l'omicidio di Giuseppe Nirta ha arrestato e tiene tuttora in carcere nientemeno che la sua compagna, Cristina Elena Toma, accusata di concorso nell'omicidio. Al momento dell'agguato in quella zona sperduta di El Carchon dove la coppia abitava quel giorno c'erano solo lei e Giuseppe e, ha sempre detto lei stessa durante tutti gli interrogatori, era scampata alla morte riuscendo a fuggire da quell'uomo armato e "incappucciato  e vestito come un commando della polizia", che dopo l'omicidio si era dileguato senza essere visto da nessuno. Un racconto che però non ha mai convinto i poliziotti spagnoli, anche per il particolare delle coltellate sferrate dopo gli spari, comportamento non proprio tipico di un sicario.

Lo scorso agosto la donna era stata condotta dagli inquirenti nella zona di El Charcon dove viveva con Nirta per cercare di ricostruire le fasi dell'agguato. Secondo il suo racconto, quando Nirta fermò la vettura davanti alla casa di campagna, lei uscì dalla portiera del passeggero e Giuseppe aprì quella del conducente. In quel mentre apparve un uomo incappucciato che sparò da sei a sette colpi. Cristina Elena ha spiegato di aver sentito gli spari mentre correva attraverso un appezzamento di terra  e cespugli, fino a raggiungere un'area montuosa dove si era nascosta e aveva telefonato non ai soccorsi ma a un amico di Giuseppe.

Durante l'incidente probatorio, durato un'ora e mezza, gli agenti della Guardia Civil hanno cercato di acquisire nuove prove che potrebbero collegare ulteriormente la donna all'omicidio. Lei ha dovuto spiegare, in dettaglio, la direzione che aveva preso e il percorso che aveva seguito per allontanarsi dalla scena del crimine. Il suo avvocato difensore, Evaristo Llanos, ha indicato che Cristina Elena avrebbe potuto rifiutarsi di collaborare al test fino al completamento del rapporto sull'autopsia, ma che, tuttavia,la sua cliente ha collaborato in ogni momento con gli agenti. "È stato molto convincente. Non ho dubbi che il suo racconto sia veritiero", ha commentato l'avvocato.

Tuttavia Toma non ha convinto i magistrati e quindi è rimasta in cella accusata di essere se non l'autrice del'omicidio quantomeno un'importante fiancheggiatrice degli assassini. Ad oggi non è noto se sia in attesa di processo o vi siano stati sviluppi diversi della vicenda e di fatto, sino alla condanna, un colpevole per l'omicidio di Giuseppe Nirta ancora non c'è.

Sulla maglietta e sulla tasca anteriore dei pantaloni che Cristina Elena indossava quel giorno, in particolare, sono state trovate tracce di polvere da sparo che difficilmente avrebbero potuto raggiungerla se davvero fosse riuscita ad allontanarsi e mettersi in salvo così rapidamente come sostiene. E' possibile che le indagini degli investigatori spagnoli si siano spinte sino a possibili rapporti della donna con elementi della criminalità organizzata in Piemonte e in Valle d'Aosta (le zone frequentate da Nirta nei mesi precedenti la morte) ma sulle risultanze vige ancora il massimo riserbo.

Chi era Giuseppe Nirta 'El Italiano'

Era la primavera del 2005 e nelle bacheche delle caserme dei carabinieri in Valle d'Aosta campeggiava la fotografia di un 40enne dai capelli scuri e dallo sguardo deciso. La scheda segnaletica indicava che tal Giuseppe Nirta, nato a San Luca (Rc) il 3 marzo del 1965, era ricercato per aver violato il regime di sorveglianza speciale: un mattino non si era presentato al lavoro nell'azienda che lo aveva assunto sotto controllo diretto delle Forze dell'ordine e dei servizi sociali, facendo perdere le proprie tracce.

Tra il 1993 e il 1994 Nirta era stato arrestato per traffico internazionale di stupefacenti e alcuni anni dopo era stato condannato con sentenza irrevocabile. Inserito in un programma di riabilitazione carceraria, dopo aver trascorso un periodo in carcere nella prima metà degli anni 2000 era stato rimesso in libertà, risiedeva a Quart e al momento del suo allontanamento lavorava in una carrozzeria.

Solo mesi più tardi fu individuato dalle Forze dell'ordine in Calabria; fu nuovamente arrestato nel 2011 nell'ambito dell'operazione 'Minotauro' contro le infiltrazioni della 'ndrangheta in Piemonte: assolto in primo grado, condannato in Appello e rinviato a nuovo processo dalla Cassazione.

patrizio gabetti

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