La "particolare posizione del concorrente esterno, per definizione non partecipe del sodalizio", la "risalenza nel tempo delle condotte rilevate, non successive al 2016", la "dismissione di tutte le cariche pubbliche, cessate già a febbraio", il cessato pericolo di inquinamento probatorio ("gli investigatori avevano già acquisito le dichiarazioni dei funzionari comunali") e il "favorevole parere" della procura di Torino.
Così la Corte di Cassazione motiva il provvedimento del 27 maggio con cui aveva aperto alla concessione degli arresti domiciliari per Monica Carcea, poi disposti dal gip di Torino il 12 giugno. Gli avvocati Claudio Soro e Francesca Peyron avevano impugnato - ottenendo l'annullamento con rinvio - l'ordinanza con cui il Riesame aveva confermato il carcere.
L'ex assessore di Saint-Pierre alla Programmazione, finanze e patrimonio era stata arrestata il 23 gennaio nell'ambito dell'operazione Geenna di Dda di Torino e carabinieri su presunte infiltrazioni della 'ndrangheta in Valle d'Aosta.
Carcea è indagata per concorso esterno in associazione mafiosa. Il Riesame, scrive la Suprema Corte, aveva stigmatizzato "la dimostrata capacità di interlocuzione, anche spavalda, della ricorrente con acclamate personalità di spicco della locale di 'ndrina operante in Val d'Aosta, da cui ha tratto il significato di un solo formale stato di incensuratezza". E ancora: "D'altro canto, dal contenuto delle dichiarazioni rese durante l'interrogatorio di garanzia, in cui la Carcea ha negato i fatti a lei ascritti e anche i legami e le frequentazioni con personaggi di spicco della locale, accreditati dalle indagini, ha desunto indici della persistente volontà di mantenere attivi i legami con gli ambienti criminali del luogo".
Il Tribunale ha, altresì, segnalato che "i pericoli concretamente prospettabili sono connessi alla possibilità che la Carcea, anche senza violare il domicilio, possa attivarsi per alterare l'andamento delle indagini e per commettere analoghi fatti, anche senza allontanarsi dal domicilio, ma servendosi di ordinari mezzi di comunicazione, e tanto anche in considerazione dei necessari importanti approfondimenti investigativi da svolgersi presso la realtà locale in cui la indagata ha operato politicamente".
Per la Cassazione sono "affermazioni sprovviste di aggancio a elementi e circostanze di fatto concrete, espressive della specifica capacità delinquenziale dell'indagata".












