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CRONACA | 29 giugno 2018, 10:38

Nella notte le cime delle montagne valdostane e le pendici illuminate dai falò

Nella notte le cime delle montagne valdostane e le pendici illuminate dai falò

Sono tanti i valdostani che hanno preparato la legna e nel primo pomeriggio si metteranno in marcia verso le vette delle montagne per accendere, quando fa buio, il falò di Sai Pietro. Infatti, è tradizione che nella notte del 29 giugno in Valle d’Aosta si accendano i fuochi e la competizione, non agonistica ma per la soddisfazione del gruppo, è quella di scoprire chi lo accenderà all’altitudine più elevata.

In occasione della festa dei SS. Pietro e Paolo, un gruppo di Alpini di Allein sale sulla cima del Mont Saron (nella foto) ed accende il tradizionale falò. Chi volesse partecipare all’ascesa dovrà contattare direttamente il presidente del Gruppo ANA del comune, Piergiorgio Collomb 339.8502951.

L’accensione dei fuochi di San Pietro è una tradizione che si perde nella notte dei tempi. È una festa di inizio estate della cultura agropastorale. In passato i fuochi erano anche l'occasione per bruciare rifiuti e scarti del lavoro dei campi.

La sfida tra gli improvvisati 'fuochini' era per chi riusciva a mantenere acceso più a lungo il falò, indipendentemente dalla grandezza del fuoco.

Il sito http://www.patoisvda.org propone un’interessante ricerca sull’orine della tradizione.

Le nottate valdostane sono accese dai tradizionali fuochi allestiti nelle zone di montagna e dedicati, secondo la località, a San Giovanni Battista o ai Santi Pietro e Paolo.

Tradizionalmente, erano i giovani del paese a preoccuparsi di realizzare la pira. Raccoglievano, mediante donazione o furto autorizzato, ogni genere di materiale combustibile e sceglievano un luogo adatto, esposto e ben visibile e allo stesso tempo lontano dalla vegetazione.

L'accensione di questi falò estivi ha suscitato, nel tempo, l'interesse di molti studiosi, incuriositi dal ritrovamento delle stesse pratiche in luoghi e tempi diversi e distanti. Si ritrovano, in effetti, simili cerimoniali un po' ovunque in Europa e nel bacino del Mediterraneo.

Si tratta di pratiche antichissime, risalenti sicuramente a un periodo anteriore alla diffusione del cristianesimo. Nel celebre saggio Il ramo d'oro, l'antropologo inglese James Frazer cita, a riprova di ciò, testimonianze dell'VIII secolo di tentativi da parte della Chiesa di abolire tali tradizioni perché considerate pagane.

Non bisogna, quindi, lasciarsi trarre in inganno da quella che lo stesso Frazer definisce "la leggera tinta cristiana" data dal nome dei santi.

Secondo l'etnologo Arnold Van Gennep, tali rituali rientrano nella categoria dei cosiddetti "fuochi ciclici", legati, cioè, a particolari periodi dell'anno. Nella fattispecie dei nostri falò, si tratta di cerimoniali appartenenti al ciclo che va dalla festa di San Giovanni Battista (24 giugno) a quella dei Santi Pietro e Paolo (29 giugno), periodo particolarmente importante per l'economia tradizionale, perché coincidente con il solstizio estivo e con l'inizio della stagione agricola.

Al centro di tali pratiche c'è il fuoco nella sua duplice veste di elemento purificatore, in grado di scacciare male e calamità dalla terra, e propiziatore, capace di garantire la fertilità dei terreni.   Secondo alcune interpretazioni, il fuoco sarebbe addirittura un simulacro del sole e i falò "incantesimi solari", usati per influenzare il tempo e la vegetazione, grazie alla somiglianza con l'astro.

Spostando l'attenzione dai grandi studiosi alla cultura popolare, ritroviamo altre teorie eziologiche circa la tradizione dei fuochi. C'è chi la lega alla grande peste del Seicento e alla necessità di "contare" i sopravvissuti sulle montagne. C'è chi, invece, ne dà una spiegazione più pragmatica: il fuoco sarebbe servito a eliminare insetti nocivi per i raccolti.

Accanto a quella interpretativa, vi è, poi, una questione linguistica altrettanto affascinante. I vari patois valdostani hanno, infatti, coniato diverse denominazioni per indicare i falò. Quelle di più immediata comprensione appartengono al tipo fouà de Sen Djouàn/de Sen Piére, fuochi di San Giovanni/San Pietro, che si ritrovano in molte località intorno al bacino di Aosta (riportate da patoisant di Charvensod e Gressan, ad esempio), ma testimoniate anche a Introd.

Altre denominazioni, invece, hanno una storia più particolare. Si tratta dei nomi del tipo boudéra (Brusson), abédole (Ayas), bouidèrotsi[9] (Champorcher), budoe/abudoe[10] (Arnad), bedderouve[11] (Champdepraz), diffusi nella Bassa Valle, e bedouye (Saint-Marcel), booudouye (Fénis), bideuye (Verrayes), attestati nella località della Media Valle[12]. L'etimologia farebbe risalire tali termini alla radice germanica *BALD[13], "audace", la stessa all'origine dell'antico francese bald, "felice", e delle parole italiane "baldanza", "baldoria" e "baldo".

Tali denominazioni, quindi, andrebbero a sottolineare il carattere gioioso della tradizione (non a caso, il francese utilizza l'espressione feux de joie, "fuochi di gioia").

Altri tipi lessicali reperibili nella nostra regione sono farandouye, flandouye, presenti, ad esempio, nelle parlate di Fontainemore e di Brissogne e Quart. In questo caso, la motivazione del termine sembra legata al colore del fuoco. In effetti, tali denominazioni ci portano all'etimo greco PHAROS, letteralmente "faro", che ha dato origine, con tutta probabilità, anche all'aggettivo énfarà, "rosso, infiammato", presente, ad esempio, nella parlata di Brusson.   Ulteriori termini interessanti, infine, sono flamayoù (Etroubles) e fasella (Fontainemore).

Per quanto riguarda il primo, il rinvio è, probabilmente, alla fiamma. Per il secondo, invece, l'etimologia è più incerta; potrebbe trattarsi di un riferimento alle fascine utilizzate per allestire i falò o all'azione di affastellare materiali da incendiare. (tratto dal sito http://www.patoisvda.org)

red. spe.

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