Una volta le notizie si leggevano sui quotidiani.
Sì, proprio quei fogli enormi che ti facevano slogare le braccia e trasformavano il cappuccino in brodaglia mentre cercavi la pagina di cronaca. I bar erano templi dell’informazione: i quotidiani nazionali di cronaca e sport … e poi i pochi, gloriosi giornali locali, dove scoprivi che il consigliere comunale aveva parcheggiato in divieto e che la signora del terzo piano aveva vinto il concorso di torte al centro anziani.
Oggi? Oggi il giornale è un’app. Anzi: è un gruppo Facebook. Anzi: è uno screenshot su WhatsApp.
Le notizie non si leggono più, si inoltrano. Non si commentano, si emoji-ano. Non si approfondiscono, si scrollano.
In Valle d’Aosta ci sono una quindicina di testate giornalistiche locali. Bravi, resistenti, eroici. Ma diciamocelo: il vero quotidiano regionale si chiama “Sei di Aosta se…” e ha più iscritti di quanti abitanti abbia l’intera regione. Alcuni gruppi superano i 60.000 membri. E no, non è un errore: abbiamo più utenti Facebook che cittadini.
La democrazia digitale ha vinto. Il giornalismo? Sta cercando parcheggio. Un tempo si pagava per leggere. Oggi si copia e incolla.
Con pochi euro al mese puoi abbonarti a tutti i quotidiani online, ma tanto basta un amico con l’accesso e via di screenshot. Le notizie volano tra Messenger e WhatsApp come piccioni viaggiatori impazziti. Il giornalista scrive, il lettore inoltra, l’algoritmo decide.
Nel 2015 Facebook aveva 1,59 miliardi di utenti mensili. Nel 2025 siamo a 3,07 miliardi.
Tradotto? Il 37% della popolazione mondiale usa Facebook ogni mese.
E il restante 63%? Probabilmente riceve le notizie via SMS da un parente iscritto a “Aosta News & Gossip”.
Come ricorda Marco Camisani Calzolari, l’IA ci sta convincendo che ciò che ci mostra è verità assoluta. E noi, poveri umani dalla soglia dell’attenzione di un criceto caffeinato, ci caschiamo. Basta la parola intelligenza e ci fidiamo.
Ma se l’IA ci toglie il lavoro, la capacità di pensare e pure la voglia di leggere… cosa ci resta?
I meme?
Il pensiero politico, sociale e giornalistico viene distorto, manipolato, impacchettato e venduto come verità. Non è complottismo: è marketing. E se alcuni Paesi iniziano a mettere limiti all’uso smodato dell’IA, forse un motivo c’è. Forse.
Non dico di tornare a slogarci le braccia con il cartaceo, ma magari potremmo riaprire un libro.
Magari i nonni tornerebbero a leggere fiabe ai nipoti, invece di inoltrare video di gatti che suonano il pianoforte.
Magari riscopriremmo che la verità non sta in un algoritmo, ma su una pagina scritta con cura.
E ricordate il vecchio detto: “Ne ha uccisi più la penna della spada.” Significa che idee, parole, scritti e comunicazione hanno un impatto più profondo e duraturo della violenza. Le parole cambiano le masse, creano rivoluzioni, distruggono reputazioni. E poi, dettaglio non irrilevante:
un libro non ti manda notifiche alle tre di notte.













