E mentre aspetto (ma non credo di essere il solo) che venga ufficializzata l’incoronazione del nuovo sindaco di Aosta, mi viene da sorridere pensando che forse questa è l’unica cosa di “pubblico” che ancora esiste.
Sì, perché a ripensarci, che cosa rimane dell’apparato pubblico oltre al sindaco e al consiglio comunale? Direi poco o nulla.
Facendo un piccolo sforzo mentale, con l’aiuto dell’immancabile Internet, cerco di fare mente locale al concetto di “pubblico” e mi chiedo: ma cosa è rimasto del pubblico oggi in Italia?
Non facciamo altro che sentire persone che affermano: “Il pubblico non funziona, molto meglio il privato”. E con questo mantra ci siamo ritrovati a essere gestiti non più dai nostri politici — che davvero mi vien da chiedere che ruolo oggi abbiano nella vita dei cittadini — ma da aziende e consulenti.
Proviamo a fare una piccola analisi partendo dalla raccolta dei rifiuti. Una volta, fino agli anni ’80, era gestita direttamente dai Comuni. Poi venne gradualmente assegnata tramite appalti alle aziende private.
Tanto è vero che i famosi netturbini — quegli omini simpatici dotati di ramazza di saggina, paletta e bicicletta a tre ruote con davanti il bidone (quelli della mia età se li ricordano) — giravano per le strade del centro e, armati di buona volontà, tenevano la città pulita.
Ogni tanto si fermavano a chiacchierare con qualche conoscente, si concedevano un bianchetto o un caffè, e la città era pulita.
Poi sparirono, come dinosauri di un’epoca lontana.
Oggi sembra quasi che non siano più le amministrazioni comunali ad affidare tramite appalto i servizi, ma al contrario le aziende, che dopo averli monopolizzati, dettano loro le condizioni: come, quando e quanto devi pagare.
E i trasporti? Che dire. Si chiamano “pubblici” di nome, ma di fatto vengono gestiti da aziende che ormai, consce di avere il monopolio, si possono permettere di dettare legge.
Quando si parla di amministrazione, ormai ci si limita ad avere dei politici che nel 99% dei casi si affidano a studi di consulenza per sapere cosa fare.
E così nascono aziende partecipate di vario genere: aziende che si occupano della gestione del cimitero.
Domanda: non era più logico assumere alle dipendenze del Comune degli impiegati o degli operai?
Invece no. Si crea una società ad hoc, con presidente (in genere un raccomandato o un trombato dalla politica), con tanto di consiglio, vicepresidente, direttore tecnico, finanziario, amministrativo.
Così il caro salma, ancor prima di aver scavato una fossa, costa già un centinaio di bigliettoni di euro.
E già che ci siamo — visto che i morti (toccando ferro) sono pochi — affidiamole anche la gestione delle multe e dei parcheggi.
Va beh, è vero, ho il dente avvelenato per le multe prese, perdonatemi lo sfogo.
Ne approfitto e vado in farmacia a prendere un Maalox.
Peccato che anche queste siano gestite dall’APS.
Che dire, a livello comunale ormai tutto è in mano ai privati: le mense scolastiche, le pulizie delle scuole, la gestione dell’acquedotto. Tutto ai privati.
Vantaggi? Se guardiamo i dati ISTAT, da quando il privato prevale sul pubblico, i costi negli ultimi vent’anni si sono raddoppiati (tranne gli stipendi, ovvio).
E allora, da cittadino a cui girano parecchio gli zebedei, ti chiedi: ma allora a cosa serve la politica?
A cosa serve avere un’amministrazione pubblica che l’unica cosa che sa fare non è gestire in modo diretto — assumendo persone, comprando mezzi, facendo studi, analisi, programmi — ma banalmente se ne lava le mani, dando appalti a privati o società varie, senza nemmeno avere la capacità di controllare e fare gli interessi del cittadino?
In poche parole, detto come lo direbbe il mio amico Mario:
«Ma tu, sindaco, a che cippa servi?»













