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Piemonte NordOvest | 23 giugno 2025, 21:19

Sospeso tra cielo e roccia: Lodovico Marchisio, 78 anni, salvato sulla Rocca dei Corvi

Lo storico alpinista torinese, reggente della GEB e voce della rubrica “Vite in ascesa” su AostaCronaca.it, ha vissuto un’esperienza estrema sulla vetta del monolito in Val Mongia. Una scalata simbolica, tra fatica, adrenalina e riconoscenza. E dietro l’impresa, un messaggio forte: la montagna come terapia contro il Parkinson

Sospeso tra cielo e roccia: Lodovico Marchisio, 78 anni, salvato sulla Rocca dei Corvi

Un uomo, una montagna, e una prova che sfiora il confine tra l’ascesa e l’abisso. Lodovico Marchisio, 78 anni, alpinista, scrittore, e storico di Avigliana (Torino) reggente della GEB (Giovane Esploratore Baltea), sottosezione del CAI di Torino, domenica 22 giugno ha affrontato per l’ottava — e, forse, ultima — volta la Rocca dei Corvi, suggestivo monolito in Val Mongia, in provincia di Cuneo, a circa 900 metri di quota.

Un ritorno voluto, cercato, profondamente simbolico.
«Quasi un addio ai monoliti — racconta Marchisio — che mi hanno sempre affascinato. Mi ci ha condotto mio figlio Walter, come per chiudere un cerchio». Un cerchio che si è stretto inaspettatamente quando, una volta raggiunta la cima, il corpo ha detto basta. Esausto, le mani non più reattive, Marchisio ha compreso di non essere più in grado di scendere autonomamente.

«Ho pregato mio figlio di portare fuori dal pericolo il gruppo, mentre un amico è rimasto a vista, poco sotto la cima. Io mi sono fermato, cercando di recuperare le forze per poter essere calato senza danni».

Il destino ha voluto che, in quel momento, altri due alpinisti, Luisa e Davide, stessero affrontando la stessa via.
«Due angeli, restii a farsi pubblicità — precisa con gratitudine — ma che mi hanno aiutato con una preparazione e una delicatezza rare: mi hanno protetto dal vento dell’elicottero, confortato, sostenuto».

Il salvataggio è avvenuto con il verricello dell’elisoccorso regionale, nel vuoto assoluto, tra la cima che si allontanava e la scarica di adrenalina che, ancora una volta, lo teneva vivo, nel corpo e nello spirito.

Marchisio, nella foto con la moglie Roberta Maffiodo,  ha voluto ringraziare tutti, uno per uno.
«A mio figlio Walter, a Federico alla sua seconda via ferrata, a Rossella, a Luisa e Davide… ma soprattutto al Servizio Elisoccorso Regionale di Azienda Zero, al Gruppo Speleologico Piemontese e al personale dell’ospedale di Mondovì. In tre ore mi hanno dimesso, con una professionalità e umanità davvero fuori dal comune».

Ma dietro questa avventura estrema — una delle tante per chi ha fatto dell’alpinismo una ragione di vita — si cela una sfida ancora più alta: quella contro il Parkinson.
«Soffro di Parkinson», racconta, «e ho deciso di non subirlo. Secondo la dottoressa Rossella Morra, medico e assessora ad Avigliana, l’arrampicata e le vie ferrate stimolano la dopamina e aiutano a mantenere le abilità motorie. Il movimento verticale è terapeutico. Non è una pazzia: è una medicina alternativa, concreta».

Quand le corps tremble, que l’esprit vacille, la montagne devient un remède. Sur la Rocca dei Corvi, Lodovico n’a pas seulement grimpé — il a résisté. À la maladie, au temps, à la peur. Et dans ce silence suspendu, il a trouvé l’essence même de l’ascension : vivre encore, et vivre haut.

pi.mi.

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