Nel gioco della politica, si sa, ogni interrogazione può nascondere un secondo fine, soprattutto quando il calendario elettorale si avvicina e la tentazione di soffiare sul disagio reale per strumentalizzarlo cresce. È quello che è accaduto anche durante il question time del Consiglio regionale del 7 maggio, in cui si è cercato di montare un caso su presunte forzature nell’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (Erp).
Secondo la critica avanzata da un consigliere regionale di opposizione, l’Arer continuerebbe ad assegnare alloggi in comuni decentrati — come Valpelline, Morgex, Champdepraz o Arvier — a famiglie che vivono, lavorano o hanno figli che studiano ad Aosta, senza consentire loro di rifiutarli senza penalizzazioni in graduatoria. Da qui la denuncia di un presunto “stillicidio psicologico” inflitto ai nuclei familiari in attesa di una casa nel capoluogo, e l’accusa — nemmeno troppo velata — di una gestione poco sensibile e forse non del tutto trasparente.
Ma la risposta dell’assessore regionale alle politiche sociali, Carlo Marzi, è arrivata puntuale e ben documentata, mettendo ordine tra allarmi e suggestioni.
Anzitutto, il cronoprogramma degli alloggi promessi è rispettato: «Avevo anticipato che i 70 alloggi sarebbero stati disponibili entro dicembre 2025, non entro i primi mesi dell’anno» ha chiarito Marzi. Anzi, lo stato di avanzamento è persino più positivo del previsto: 61 alloggi risultano già disponibili, ai quali si sommano 12 unità dedicate all’emergenza abitativa, con ulteriori 25 alloggi in arrivo entro l’autunno.
Nessuna regia occulta, insomma, né favoritismi mascherati. L’estensione dell’ambito territoriale a tutta la regione, sottolinea l’assessore, «ha incrementato le possibilità di assegnazione, garantendo equità e pari opportunità per tutti i residenti». Le assegnazioni avvengono seguendo rigorosamente la normativa vigente, la graduatoria e i criteri stabiliti dal bando.
Ma veniamo al nodo centrale: la rinuncia giustificata. Su questo punto, la normativa regionale è già chiara e piuttosto garantista. L’articolo 29 della legge regionale 3/2013, insieme alla delibera 857/2019 e al regolamento Arer del 2020, prevede esplicitamente diversi casi in cui la rinuncia a un alloggio non comporta l’esclusione dalla graduatoria:
presenza di barriere architettoniche non eliminabili per persone con disabilità;
inadeguatezza dell’alloggio rispetto alla composizione del nucleo familiare;
mancanza di idoneità per superficie o numero di vani;
esigenze sanitarie che richiedano la vicinanza a ospedali;
distanza significativa dal luogo di lavoro, in assenza di mezzi pubblici o auto.
In tutti questi casi, se la documentazione è completa e motivata, la famiglia mantiene il proprio diritto e attende una proposta più adatta. «La rinuncia per giusta causa non comporta esclusione dalla graduatoria, ma tutela il nucleo familiare in attesa di soluzioni migliori» ha ribadito l’assessore.
A fronte di queste spiegazioni, le parole allarmate pronunciate in aula appaiono quantomeno frettolose, se non intenzionalmente drammatizzate. Evocare il rischio di “mandare le famiglie in mezzo a una strada” è una forzatura che mal si concilia con la realtà dei fatti e con la sensibilità che le istituzioni, in questo caso, stanno effettivamente dimostrando.
Chi oggi chiede modifiche al regolamento Arer dovrebbe forse prima leggere con attenzione il regolamento stesso, che già prevede esattamente le tutele invocate. E chi accusa di cieco burocratismo dovrebbe riconoscere che senza criteri certi e trasparenti si aprirebbe la porta a trattamenti arbitrari — quelli sì, inaccettabili.
In tempi di campagna permanente, la tentazione di costruire polemiche sulle fragilità sociali è forte. Ma le famiglie in attesa di una casa meritano risposte, non slogan. La politica, quella vera, dovrebbe aiutare a costruire soluzioni, non illusioni. E soprattutto dovrebbe evitare di giocare con la speranza e con la dignità delle persone.
Chi prova a sfruttare il disagio abitativo per raccattare consensi dovrebbe prima farsi un giro nelle case vuote della coerenza: lì sì che c’è sempre posto