Ci sono immagini che parlano da sole, e non hanno bisogno di spiegazioni complesse né di filtri narrativi. Sono immagini che raccontano storie antiche, ma più attuali che mai. È il caso di alcune fotografie inviate da un lettore attento e sensibile, Renzo, che ha voluto condividere uno sguardo silenzioso ma potente sulla nostra terra: antichi terrazzamenti ancora ben conservati, silenziosi custodi di un passato contadino che sapeva coniugare sapienza, fatica e rispetto per l’ambiente.
Questi terrazzamenti, scolpiti con pazienza secolare nella roccia e nel cuore delle nostre montagne, oggi sembrano quasi opere d’arte incastonate nel paesaggio. Eppure non erano stati pensati per la bellezza, ma per la sopravvivenza, per l’agricoltura, per la fienagione, per dare da mangiare e per custodire. Custodire la terra, prima di tutto: dal dissesto, dall’erosione, dalle piogge torrenziali, dalle frane. Quelle stesse frane e smottamenti che negli ultimi tempi, complici i cambiamenti climatici e l’intensificarsi degli eventi estremi, stanno mettendo in ginocchio intere vallate.
Viene spontaneo chiedersi, davanti a queste immagini così eloquenti, dove sia finita quella cultura della manutenzione, quella visione di lungo periodo che i nostri nonni possedevano senza bisogno di studi, con l'intuito tramandato di generazione in generazione. Oggi abbiamo la cosiddetta "intelligenza artificiale", capace di comporre sinfonie, prevedere flussi economici e simulare scenari meteo con precisione millimetrica. Ma a cosa serve tutta questa intelligenza, se non siamo capaci di conservare e valorizzare ciò che di più intelligente ha fatto l’uomo in montagna: modellare la natura per viverla, non per distruggerla?
E allora una tiratina d’orecchie ai nostri amministratori ci sta tutta, anche senza falsi moralismi. Perché non è più tempo di rimandare, né di cercare alibi. I segnali sono chiari, li manda la natura a ogni acquazzone. Serve un piano serio, continuativo e strutturale per la cura del territorio. Non bastano i proclami post disastro, le foto in sopralluogo, i droni che sorvolano ciò che si sapeva già fragile. Serve tornare con i piedi per terra — letteralmente — e riscoprire quelle buone pratiche che la politica ha snobbato in nome del “nuovo” a tutti i costi. Ma non c’è futuro senza radici, e i terrazzamenti sono proprio questo: radici visibili nel paesaggio.
Renzo, con le sue foto, ci ha ricordato che abbiamo ancora un patrimonio vivo. Sta a noi — cittadini, tecnici, amministratori, contadini e cronisti — decidere se vogliamo conservarlo o se preferiamo continuare a raccogliere solo le macerie dopo ogni pioggia.
In questi giorni la Valle d’Aosta è nuovamente messa alla prova dal maltempo: piogge persistenti, allagamenti, versanti che si sbriciolano. Non c'è bisogno di sensori per capire che la terra chiede aiuto. E non c’è drone che possa sostituire mani, fatica e conoscenza del territorio. Ogni volta che un sentiero cede o un pascolo si allaga, è anche colpa di chi ha dimenticato — o ignorato — che prevenzione vuol dire manutenzione. E oggi, come allora, sono ancora quei vecchi terrazzamenti a resistere. Forse perché erano fatti con intelligenza, ma quella vera.