La produzione vitivinicola valdostana è limitata e quindi i prezzi di vendita delle bottiglie rimangono fortunatamente abbastanza remunerativi per permettere a tutta la filiera di vivere del proprio lavoro e anche di investire per migliorare la qualità, a partire dalla vigna fino aa arrivare alla vendita del prodotto in bottiglia. Con il turismo che affolla la Valle, il vino non basta più a soddisfare la domanda interna.
Per fortuna negli ultimi anni, grazie ad una sana concorrenza, e anche per l’ingresso in campo di molti giovani vigneron, la qualità è aumentata, tanto da poter affermare che in Valle d’Aosta si beve molto bene. La prima idea di qualità, veicolata negli anni ’90 da Costantino Charrère, al quale la Valle d’Aosta vinicola deve molto, prevedeva soprattutto l’utilizzo di vitigni internazionali, in particolar modo dello chardonnay, che avrebbe permesso delle comparazioni con il meglio della produzione straniera. A quell’epoca crebbero molte piccole realtà valligiane e lo chardonnay si diffuse a macchia d’olio.
Valle d'Aosta: dai vitigni internazionali ai vitigni autoctoni
Per fortuna negli ultimi anni questa varietà ha perso un po’ di interesse, se non direttamente negli ettari piantati, almeno nella testa dei produttori. L’ago della bilancia si è spostato in tutt’altra direzione, ovvero sui vitigni autoctoni: il primo ad avere acceso i riflettori sul vino valdostano è stato il fumin, da poco riscoperto. È forse l’unico rosso tra le uve indigene ad avere una vera anima internazionale, regalando dei vini potenti e molto colorati, diametralmente opposti alle abituali caratteristiche dei rossi regionali.
Tre Bicchieri 2025 della Valle d'Aosta. Vini più leggeri e beverini
L’ulteriore passo avanti, il vero cambio di marcia dell’enologia della Valle, è stato di tralasciare l’idea di confrontarsi con il resto del paese e con l’estero nel campo dei vini potenti e concentrati, e di fare emergere quindi il carattere conferito dal clima e dai terroir locali. In poche parole, i produttori hanno avuto il coraggio di offrire vini più leggeri e beverini. Da allora è ripartito l’interesse per i Petit Rouge e per i Nebbiolo, mentre la Petite Arvine si sta lentamente sostituendo allo Chardonnay. Dal canto suo il Pinot Nero, fruttato, fresco e spigoloso, ma indubbiamente di facile beva, esprime senza menzogne il carattere valdostano. Con un po’ di coraggio e di conoscenza in più potrebbe seguire anche il Syrah, il cui potenziale in Valle è indubbio, se si puntasse su vini più sottili e leggeri, che propongono aromi di pepe e violetta più che quelli di prugna matura.
- Sopraquota 900 ’22 Rosset Terroir
- VdA Chambave Moscato Passito Prieuré ’21 La Crotta di Vegneron
- VdA Nebbiolo Dessus ’22 Pianta Grossa
- VdA Petite Arvine ’23 Elio Ottin
- VdA Petite Arvine Les Fréres ’22 Grosjean
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