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Block Notes | 02 gennaio 2022, 10:00

MARTINAZZOLI L’IMPOLITICO

Block Notes è una rubrica settimanale promossa dall’associazione Comunque Valdostani con l’obiettivo di avvicinare i Cittadini al Palazzo e aprire il Palazzo ai Cittadini. L’Associazione Comunque Valdostani ringrazia il Sindaco di Aosta, Gianni Nuti, che con entusiasmo ha aderito alla proposta

MARTINAZZOLI  L’IMPOLITICO

Mino Martinazzoli non era un bell’uomo, anche se negli anni ’70, alle prime esperienze politiche provinciali e poi nazionali, sfoderava camicie colorate dai colletti alti e pose in tre quarti, come una rockstar imborghesita.

Il viso era roccioso, maculato, tempestato di nei e irregolare nella texture; entro un taglio squadrato a parallelepipedo spiccavano tratti somatici qualificanti come il mento volitivo e le sopracciglia folte, sotto le quali dimoravano due occhi scurissimi, tesi verso una lontananza grave e una profondità senza fine, ma anche un certo languore romantico.

Di questo personaggio politico della provincia bresciana (Orzinuovi), i biografi istituzionali ricordano gli incarichi a capo dei ministeri della Giustizia (1983-86) della Difesa (1989-90) e, in ultimo, delle Riforme Istituzionali e degli Affari Regionali (1991-92): in ciascuno di questi ruoli lasciò impronte, come l’avvio di un processo di umanizzazione delle carceri, le prime riflessioni sulla separazione delle carriere tra pubblici ministeri e magistrati giudicanti o l’equiparazione della durata di servizio militare e civile (fino a quel momento di 20 mesi contro i 12 della naia).

Ma non meno significativo pare oggi il suo lavoro di giurista rispetto alle leggi di cui si fece primo firmatario e che avrebbero preso vita, con le dovute modifiche, più avanti nel tempo: penso a leggi sulle cooperative sociali, sul volontariato, sulla prevenzione dell’evasione fiscale e sull’equità di trattamento fiscale per i redditi familiari, sul gioco d’azzardo ma, soprattutto, sulla riforma dell’assistenza e dei servizi sociali (presentata da lui nel 1987 e divenuta poi legge-quadro solo nel 2000 con il n. 328 e ancora oggi in vigore).

Ma la fama postuma sembra radicarsi sul suo destino di traghettatore in un’epoca di procelle spaventose: come segretario della Democrazia Cristiana nell’ottobre 1992, l’anno di Tangentopoli e della fine di un ciclo della nostra Repubblica, promosse la rifondazione di quel Partito Popolare Italiano di sturziana ispirazione per far uscire dal guado la DC e recuperare credibilità di fronte a un’opinione pubblica avida di vendetta contro chi aveva compiuto illeciti a lungo e impunemente.

Mini Martinazzoli e Sergio Mattarella

L’impresa ebbe poca fortuna solo perché, come lui stesso affermò, la decisione fu tardiva e non si fu abbastanza “pazienti, ostinati e coerenti”: l’idea di modernizzare tornando all’antico nelle scienze umane è spesso la strada più lungimirante e coraggiosa insieme, ma va percorsa fino in fondo. Era stato scelto lui non solo perché figlio della terra in cui la Lega iniziava a straripare, ma soprattutto per la sua caratura morale, intellettuale, politica del tutto straordinaria, da “impolitico”: nei momenti in cui il sistema crolla, si fa appello a chi cammina sulle maceriee, in precedenza, aveva ampiamente previsto quel disastro, evitando di diventarne un promotore.

Un uomo superiore, eppure stigmatizzato come crepuscolare, oscuro, addirittura “cipressoso” – anticipando un uso del suffisso piuttosto di moda nei neologismi contemporanei (ricordiamo il petaloso…): si confonde la melanconia di chi è consapevole di come la politica sia specchio dell’uomo, grande e miserabile, di come sia effimero e falso il senso del trionfo, ma più vera l’incertezza di chi sa che la méta è  motore e non approdo, e resta irraggiungibile. È chiaro ormai: mi piacciono i mistici della politica, coloro che vivono questo servizio con spirito religioso – ma non confessionale – ispirato dalla convinzione secondo la quale la rappresentanza è di per sé spirituale, perché trascende l’individuo e ogni singolo corpo per alimentare una forza unificatrice, squisitamente umanizzante.

Mino era un uomo che difendeva letture complesse del reale, ma parlava senza fronzoli cambiando, da erudito creativo, le cifre stilistiche più varie: argomentava le sue ragioni con serietà e ironia, alleggeriva temi pesanti, accennando a tratti di tragedia per poi fuggirne e raffreddarne l’arsura. La ruvidità della sua voce era stemperata da un refolo sottile di fiato che addolciva il timbro e permetteva all’eloquio di scorrere ondivago e suadente. Condiva le sue frasi argute, quasi sempre profetiche e visionarie, eppure incatenate da una logica limpida, con delle espressioni del viso essenziali, interrogative, prudenti: un uomo di campagna istruito, che sapeva specchiarsi nella sua terra rugosa e scarna e insieme sapeva toccare, con le parole più alte, animi di differente sensibilità e cultura.

D’altronde era senatore e sindaco, curatore dei grandi sistemi e riparatore paziente delle piccole fratture domestiche, poeta e contadino. Manca oggi un uomo come Martinazzoli, saggio interprete dell’umana avventura, anelante al vero: perciò il mio racconto non finisce qui, perché alcuni suoi pensieri sono stati scritti ieri per oggi e per domani, quindi non li possiamo abbandonare all’oblio. (1. Continua)

Gianni Nuti

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