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Block Notes | 12 giugno 2022, 12:00

È TUTTA UNA PARATA

Block Notes è una rubrica settimanale promossa dall’associazione Comunque Valdostani con l’obiettivo di avvicinare i Cittadini al Palazzo e aprire il Palazzo ai Cittadini. L’Associazione Comunque Valdostani ringrazia il Sindaco di Aosta, Gianni Nuti, che con entusiasmo ha aderito alla proposta

È TUTTA UNA PARATA

In una notte tormentata come quelle che sto vivendo, le poche ore si scandiscono da sogni brevi, ora incantati e fanciulleschi, ora angosciosi e pieni di dolore per una perdita, per un abbandono inaspettato. Sono sequenze dense e dettagliate intervallate da minuti di veglia, dove lo sguardo si fissa tra le travi bianche del soffitto e lascia fluttuare i follicoli sulla cornea come fossero ragni immortali, tessitori di tele invisibili di insignificanti destini sulla superficie della mia vita breve.

Quando la notte ha mille trame e non una sola, e le travi sul tetto appaiono e scompaiono spesso, sorvola una mosca insolente che ronza sopra le orecchie e passa ripetutamente ricordandomi di stare allerta, e mi coglie alla fine di un sogno, talora tra l’uno e l’altro.

Cerco di scacciarla invano, senza avere la forza di mirarla a modo.

Ho assistito alla parata del 2 giugno pochi giorni fa a Roma, nella tribuna di fronte a quella d’onore dove applaudiva, con gesti moderati e festosi insieme, un paziente Presidente della Repubblica.

Abbiamo sfilato in 300 sindaci in apertura del corteo, poi ci siamo sistemati sugli spalti per vedere scorrere dinanzi a noi uno spaccato organizzato di umanità energico, fiero e variopinto.

Ogni corpo militare era introdotto da buona musica per banda: ciascun gruppo con un suo sound chi più squillante e invocativo, chi festoso e incalzante. Qualche compagine azzardava movimenti sincroni quasi in forma di danza, altre privilegiavano la fissità, l’annullamento dei corpi per assicurarsi una piena concentrazione sui suoni, altri ancora riproducevano gesti marziali, da soldati per sempre, pronti a impugnare armi diverse, ora portatrici di vibrazioni armoniose, ora di deflagrazioni e scoppi. A parte i musicisti a cavallo, impegnati in un equilibrismo estremo tra briglie e colpi di tamburo alternati a destra e sinistra.

Poi arrivavano sagome pittoresche in fila come quelle del calcio balilla. Parevano uscite dalla scatola di cartone in cui riponevo, da bimbo, la mia collezione di soldatini in plastica: dai colori sgargianti, le sciabole luminose, pennacchi e piume utili più a corteggiare e sedurre che a colpire e annientare.

Commuovente una coppia di anziani partigiani in piedi su una jeep che si sbracciavano senza sosta con i loro arti ossuti, marcati di vene violacee e incartapecoriti sfoderando un sorriso sdentato ma luminoso, come se la liberazione fosse avvenuta poco prima e loro tenessero molto a far sì che lo sapessero tutti, ma proprio tutti…

Ancor più toccante, il boato che si è levato dagli spettatori all’arrivo del personale sanitario adunato per la prima volta durante la festa della Repubblica dopo questa guerra contro il nemico invisibile.

Erano collane di forme vitali, che facevano del ritmo un punto di incontro, una trama gaia, non una minacciosa avanzata verso il nemico.

Dopo un po’ tuttavia sono spuntate truppe mascherate in assetto di guerra che inforcavano armi moderne e sofisticate, ornate di strumenti elettronici per orientamento e visualizzazioni, tute iperprotettive, qualche bicipite possente in emersione dai tessuti speciali.

A seguire una serie di mezzi blindati, moderni per le caratteristiche performative più nascoste, antichi per colore, forma teutonica, una complessiva rigidità goffa e appesantita eppure pronti a schiacciare o a far emergere bocche di fuoco: il mio cielo si è annerito di colpo e la festa s’è spenta ai miei occhi.

Sopra di noi un nugolo d’elicotteri ha preso a sorvolare e a gettare paracadutisti per strada come artisti di strada, angeli liberatori, ambasciatori di morte.

Ho ripensato al mio sogno, all’alternanza tra idilli e incubi, tra incantesimi e angosce inconsolabili mentre la mosca ronzava sopra la mia testa: nella parata della storia raccogliamo le punte estreme dell’esistenza di ciascuno e di popoli interi, le mettiamo in fila perché prendano forma, sicuri d’averle in pugno, solerti nell’indicare la direzione giusta, pronti a stabilire i tempi dell’inizio e della fine.

Ci illudiamo: solamente sveliamo a noi stessi la grottesca farsa in cui siamo, per caso, incappati dove danze d’amore e cortei funebri, tragedia e commedia, elegie e lamenti si avvicendano l’un dopo l’altro consumandosi in un minuscolo lampo di tempo, nello spazio straziato di un sogno.

Gianni Nuti

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