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In Breve

| 28 agosto 2022, 20:43

UN CASO NAZIONALE

Blok Notes è una rubrica settimanale promossa dall’associazione Comunque Valdostani con l’obiettivo di avvicinare i Cittadini al Palazzo e aprire il Palazzo ai Cittadini. L’Associazione Comunque Valdostani ringrazia il Sindaco di Aosta, Gianni Nuti, che con entusiasmo ha aderito alla proposta

UN CASO NAZIONALE

Stavolta, in via eccezionale, parliamo di una questione di stretta attualità: ogni tanto è bene, come direbbe Elena Ferrante, “sregolarsi” un po’…

Su Facebook – in questo caso sana agorà e non cloaca degli umori più torbidi e flatulenti –  l’inaugurazione del rinnovato Caffè Nazionale ha mosso le acque dei pensieri più diversi. Tra questi ho colto una critica intelligente nella quale mi si contesta di avere ridotto il concetto di bellezza a estetismo e mi si accusa di avere dato a un privato un bene pubblico limitando dunque il suo godimento a pochi e per di più a scopo di lucro. Non volo alto come la signora Marta, ma con concretezza intendo spiegare pubblicamente le ragioni di questa scelta.

Prima però tengo a precisare che non ho pronunciato una frase dozzinale come quella riportata dalle agenzie. Non direi mai, “sotto forma di pasticceria e di ottimo cibo si porterà avanti la bellezza”. Ho detto che un locale con un elevato valore storico e architettonico è stato recuperato alla sua bellezza originaria per ospitare un artista della cucina, che aggiungerà nuove forme del bello a beneficio dei suoi avventori. Non ho intenzione di estetizzare nulla e nessuno, ma solo di constatare come la formula di affidamento che abbiamo adottato ha attratto chi sa trasformare un immobile decadente in uno scrigno in cui produrre manufatti artigianali belli e buoni a vantaggio di tutti, anche di coloro che non entreranno nel locale, ma beneficeranno comunque di un’atmosfera sottile e di una cura amorevole per gli oggetti e per le opere.

Il privato che fa impresa non è, fino a prova contraria, un demonio profittatore: questo va radicato dentro le coscienze di molte persone in particolare quelle che, a vario titolo, lavorano in enti pubblici. Naturalmente un pregiudizio deve recedere con l’aiuto fattuale di tutti: dobbiamo promuovere una rivoluzione lenta sia di rappresentazione che di realtà, tanto nelle nostre menti così aggrappate a idee stereotipate quanto nella vita tangibile che superi l’opposizione tra pubblico e privato e promuova un’idea di economia civile.

Da una parte è indispensabile che l’imprenditore rinunci a plusvalori eccessivi e acquisisca un livello di responsabilità sociale del proprio operato così da ridimensionare la portata – esistenziale, prima che aziendale – del mero profitto pecuniario. È un passaggio culturale indispensabile per dare il giusto valore alla ricaduta di ciò che ogni titolare d’impresa produce – ma soprattutto di come lo produce – sulle vite quotidiane delle persone: in termini di impatto ambientale, di sicurezza sul lavoro, di tutela dei diritti, di welfare aziendale, di ricerca scientifica diretta e indiretta, di decoro e bellezza (non di estetica) del luogo di lavoro e dell’ambiente urbano o rurale intorno, ma anche degli esiti di ogni linea produttiva. Dall’altra è utile studiare formule di cooperazione tra soggetti pubblici e privati affinché ogni nuova idea produttiva porti ricadute a chi la sa concretizzare e alimentare e a chi la accoglie sul proprio territorio, a chi ci lavora ad ogni livello e più sistematicamente alla comunità di appartenenza e all’ambiente circostante e gli investimenti siano proporzionali tra le parti rispetto ai risultati raggiunti insieme.

Ho parlato di bellezza ben consapevole del suo significato originario: non mi riferivo a quel costume diffuso da quando, come dice Adorno, è in atto il processo di mercificazione dell’arte e la sua riduzione a una rassegna di simulacri vuoti, di scheletri nascosti dietro a luccicanti maschere imbellettate, priva di senso e di profondità: la bellezza, quella vera non la finzione artificiosa da spot patinato, è un'esperienza di contatto con un fascino inafferrabile e un mistero enigmatico, è fatta di persistenze del pensiero, di accostamenti arditi tra elementi contrastanti, di stupefacenza e pericolo. Ma è diffusa ovunque: attende solo che i nostri occhi siano disposti a coglierla. Da giovane pensavo che la vita artistica fosse dedizione totale alla produzione d’opere, alte e ricercate, riservate a pochi sensibili e perciò mi ci dedicavo con tutto me stesso senza spazio a null’altro.

Oggi credo che tutti possano maturare un modo artistico di vivere e guardare il mondo perché il benessere derivato non può essere ad appannaggio di una corte di aristocratici: a tutti serve che il nostro ingrigito mondo sia tempestato di punti luminosi. Credo per questa ragione che anche in un bar si possa trovare un intreccio di storie intriganti, segni di cura e di gusto, si possano scovare radici e suscitare le anime dei progettisti e dei costruttori, lo spirito di generazioni e generazioni d’avventori: ma ci vuole un incantesimo per rigenerarlo, e questo lo può fare solo chi ha fondato la sua vita sulla ricerca di un nutrimento eccellente per i propri sensi, di perfezione delle forme, di bouquet esaltanti di gusti. Un felice incontro tra un genius loci e due giovani artisti – un cuoco e una pasticceria – è avvenuto, ed io non posso che gioirne.

Ho parlato, certo, di restituzione alla cittadinanza, anche se si tratterà di un locale di alto livello perché si sono investiti milioni di euro su un bene pubblico, che tra vent’anni tornerà al demanio, grazie a un appalto di valorizzazione patrimoniale; un bar è poi un luogo pubblico a tutti gli effetti anche se gestito (come d'altronde è sempre stato per oltre un secolo) da soggetti privati; certo, avremmo potuto pensare a una imbiancata, a una ripulita, al rifacimento dell’impianto elettrico (per un ente pubblico almeno due anni di lavoro...) e poi l’avremmo potuto affidare all’ennesimo gestore di bar. Ne abbiamo forse bisogno ad Aosta? Non ne abbiamo a sufficienza? Avremmo potuto cambiare destinazione d’uso certo per farci aule studio per i giovani: ma la biblioteca regionale è un luogo centrale ed ampio, accogliente e frequentato, la cittadella dei giovani sempre aperta e disponibile per gruppi di studio nell’ala ovest dell'edificio e, le assicuro, non c'è la coda... Un ennesimo museo? Da amante e studioso di storia dell'arte, pensiamo a valorizzare il patrimonio che abbiamo e ad avvicinare tutti, ma proprio tutti, al bene artistico e storico con modalità nuove, ispirate e poco didascaliche perché oggi far entrare qualcuno a una mostra è impresa ardua e, peraltro, i costi di mantenimento delle nostre realtà museali sono esorbitanti.

Per concludere, ma non per sedare un dibattito molto utile, ci vuole equilibrio in una città tra varie presenze, vocazioni, sogni: c’è un luogo per ciascuno, senza prevaricazioni, senza sottrarre nulla ai cittadini anzi, offrendo loro mille ragioni per sentirsi bene a casa loro, senza attrarre una sola categorie di turisti, ma tutti coloro che trovano da noi un luogo in cui sentirsi accolti.

Possiamo sbagliarci, ma in tutta onestà siamo certi, con questa alchimia, di averne aggiunto uno ai tanti di cui già oggi possiamo godere.

Gianni Nuti

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